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Edwige Fenech Photogallery


Il vestito (The dress)

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Il vestito locandina 4

Se dovessi attribuire un ipotetico premio al film più bizzarro, enigmatico e surreale che abbia visto nella mia vita, Il vestito, opera del 1996 del regista olandese Alex van Warmerdam si disputerebbe sicuramente la volata finale.
De Jurk,titolo originale della pellicola, tradotta fedelmente in inglese come The dress e altrettanto fedelmente nella versione italiana in Il vestito è una di quelle opere che non solo sconcerta, ma ti porta a fare elucubrazioni più o meno serie sul senso di quello che si è visto; e quello che capita nel film ha allo stesso tempo fascino e mistero, che permeano la pellicola intrisa di uno humor nerissimo e spesso intraducibile con la parola.
Un humor che ha del fantastico e al tempo stesso dello estraneante, una visione che solo il termine surreale può rendere appieno.

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Guardare Il vestito significa immergersi in un mondo spiazzante, quasi fiabesco eppure a tratti terribilmente reale, come una favola dall’andamento macabro che finisce lasciando irrisolti tutti i temi di partenza, ammesso poi che un tema vero esista e non sia semplicemente un pretesto per una visione quasi in slide di una serie di immagini caotiche, unite però da un disegno che nel corso della pellicola appare quasi chiaro.
Quasi.
Perchè il sospetto, dopo la visione del film, è che tutto sia più un gioco che un discorso logico o meno sulla casualità delle cose; il che comunque è del tutto riduttivo, alla fine, perchè il film sembra sfuggire a qualsiasi analisi logica, tendendo conto sopratutto del suo andamento schizofrenico.

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Come si evince dal titolo, il protagonista è un vestito; un capo d’abbigliamento brutto e kitsch, se vogliamo con quella sua colorazione assurda, con quelle foglie stampate casualmente su tutta la sua lunghezza, un abito che insomma una donna italiana non metterebbe mai addosso nemmeno in casa e nemmeno in caso d’emergenza.
Viceversa nel film l’orribile vestito sembra dotato quasi di una sua volontà o quantomeno sembra scatenare, in chiunque ne abbia contatto, una qualche forma di follia.

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L’inizio del film ci mostra l’origine del vestito stesso; Cremer, disegnatore per un produttore di tessuti, ritenuto dal suo direttore troppo avveniristico nelle sue opere, crea una fantasia particolare, ovvero un tessuto stampato in un orribile color azzurro con delle foglie marroni disegnate alla rinfusa.
Sembrerebbe una provocazione ed invece ecco quello che non ti aspetti.
Al direttore la fantasia piace e se ne decide l’utilizzo in larga scala.
Fin qua sembra tutto regolare ma ecco iniziare le stranezze; il designer dell’azienda caccia di casa la compagna che lo ha sorpreso con una gigantesca scrofa in casa e deve allontanarsi nuda dalla casa stessa mentre è insultata dall’uomo sotto lo sguardo di un terrorizzato postino che assiste di nascosto alla scena.
Intanto il vestito viene consegnato alle varie boutique e su una di queste, che espone il vestito in vetrina,capita lo sguardo di una casalinga che lo compra e lo porta a casa.Il tempo di indossarlo ed ecco che dei rapinatori entrano in casa della donna.

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Inizia così una sequenza folle di avvenimenti, perchè il vestito, steso dal marito della casalinga ad asciugare, finisce per volare via ed atterrare vicino al capanno di un giardiniere, che lo porta dalla domestica della casa in cui lavora.
La domestica lo indossa e poichè il suo compagno è un’artista, ecco che viene immortalata in un quadro dallo stesso;da qui in poi la storia diventa frenetica, mostrando i passaggi del vestito e le vicissitudini, tutte negative, che vivranno le persone che entreranno in contatto con l’abito.
In una sarabanda di situazioni paradossali, vedremo la compagna dell’artista trovarsi un uomo nel letto, che la convincerà ad avere una relazione con lui; dalla donna, che subirà in seguito attenzioni non desiderate da parte del conducente di un autobus finirà, dopo essere passato per una lavanderia addosso ad una ragazza e poi…
Dotato quasi di una volontà propria, il malefico capo d’abbigliamento sconvolgerà le vite di coloro che lo indossano, segnandone in qualche modo la vita almeno nel momento del contatto.

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Come dicevo all’inizio, è pressochè impossibile ( ed anche inutile) cercare di capire le vere motivazioni che spingono Alex van Warmerdam a mettere in piedi un film in cui anche i dialoghi appaiono slegati dalle situazioni; il paradosso, l’estremo sono sempre dietro l’angolo e il vestito, che sembra influenzare così negativamente le vite di coloro che ne subiscono l’influsso nefasto finisce per assomigliare ad un destino implacabile che decide di attraversare le vite dei protagonisti.
Il simbolo diventa quindi intelleggibile,di impossibile decifrazione anche se non privo di un lugubre fascino.
Il punto di collegamento è semplicemente la sequela di sventure che colpisce chiunque indossi o semplicemente brami l’orrido capo.

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Ironia e tenerezza, sarcasmo e malinconia, il regista olandese non fa mancare nulla, anche se alla fine il quadro d’assieme appare un po incoerente e spezzettato.Tuttavia la pellicola ha un fascino sottile, ed il vero peccato è che non esista in rete una sua versione in italiano.
E’ possibile invece visionare la pellicola in lingua originale e con sottotitoli in inglese; può valerne la pena a patto di seguire i dialoghi e le scene come tanti quadri d’assieme a tratti incoerenti, sicuramente spesso incomprensibili ma dal fascino davvero sottile.
http://viooz.co/movies/21214-the-dress-de-jurk-1996.html

Il vestito

Un film di Alex Van Warmerdam. Con Henri Garcin, Khaldoun Elmecky, Frans Vorstman, Ingeborg Elzevier, Margo Dames,Peter Blok, Jacob Derwig, Rudolf Lucieer, Maike Meijer Titolo originale De Jurk. Commedia, durata 98′ min. – Paesi Bassi 1996.

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Il vestito banner protagonisti

Henri Garcin: Van Tilt
Ariane Schluter: Johanna
Alex van Warmerdam: De Smet
Ricky Koole: Chantalle

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Regia Alex van Warmerdam
Sceneggiatura Alex van Warmerdam
Fotografia Marc Felperlaan
Montaggio René Wiegmans
Musiche Vincent van Warmerdam
Scenografia Jorrit Korstenhof

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L’opinione di viagem dal sito http://www.filmscoop.it

Non un film, un gioco!
Una sceneggiatura assurda e una comicità perversa tra abusi, coincidenze e sfortune. Esemplare la scena dell’enorme scrofa che esce dalla casa per un tentativo andato a male di “sesso alternativo”. Raccapricciante la colonna sonora: i tocchi di contrabbasso segnalano l’arrivo di un’imminente violenza o abuso.
In tutto questo un vestito che non finisce di portar rogna a chi ne viene in contatto, non da ultimo a chi lo ritrae, passando di mano in mano in un’amena cittadina di provincia olandese.
Memorabile!

L’opinione di supadany dal sito http://www.filmtv.it

Un film completamente rimosso (non mi capita quasi mai di non trovare nemmeno un opinione per un film di circa quindici anni fa, soprattutto se di origine “festivaliera”) che, con un fare prevalentemente scanzonato (almeno inizialmente), fotografa un mondo senza apparenti speranze.
L’oggetto del contendere è un colorato vestito (peraltro tutt’altro che bello da vedere), complicato fin dalla sua gestazione, scaturita da una semplice copia e da successivi litigi vari tra l’”ideatore” e l’impresario che lo deve produrre.
Va da sé che porterà rogne senza fine per tutti i suoi sfortunati possessori.
Le caratteristiche più interessanti del film sono il tono sarcastico, che il regista adopera per raccontare questa storia di (macabra) fantasia (o semplicemente triste realtà?), e gli incroci che i vari passaggi di proprietà causeranno.
Infatti tutte le persone che ne entreranno in possesso saranno destinate ad incontrare i medesimi personaggi sul loro tragitto e a dover affrontare guai di diversa natura.
Storia anomala (anche poco omogenea che vira in corso d’opera), una scheggia impazzita, il vestito non manca mai, ma poi i veri protagonisti sono altri.
Personaggi alla deriva esistenziale, senza un reale sbocco alla loro esistenza.
Se vi capita (non saprei come, l’ho rivisto in un vhs da far incrociare gli occhi, non esiste in dvd, ed in tv non so se sia mai passato e tanto meno se passerà, ma un modo prima o poi capita, se non è già capitato), guardatelo e fate i vostri conti.
Per me è talmente coraggioso e visionario nella sua essenza, da farsi perdonare più di un passaggio farraginoso.

L’opinione di Daniela dal sito http://www.davinotti.com

Il disegno di un tessuto per abiti (foglie su fondo blu), usato per fabbricare un vestito estivo, ha uno strano potere: affascina gli uomini e li spinge a possedere le donne che indossano di volta in volta l’abito, riadattato in varie foggie, che si tratti delle mogli o di perfette sconosciute, indipendentemente all’età e dall’avvenenza di ciascuna. Un carosello di personaggi ora caustico ora lieve, attraversato da un vento di follia, per un film olandese bizzarro, difficilmente catalogabile, interessante anche se non del tutto riuscito.

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Dedicato al mare Egeo

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Dedicato al mar Egeo locandina Masuo Ikeda era uno scrittore, illustratore,ceramista, scultore e incisore giapponese prestato al cinema in due occasioni; nella prima di queste scrisse e diresse Dedicato al mare Egeo, tratto da una sua storia dal titolo omonimo che ebbe un qualche successo in Giappone, vincendo il prestigioso Premio Akutagawa. Tante attività svolte brillantemente, alle quali però non può di certo essere aggiunta, almeno al livello di abilità conseguita, quella di regista di valore. Il film in questione, Dedicato al mare Egeo, uscito nelle sale senza alcuna visibilità nel 1979, è infatti una pellicola noiosa in maniera esemplare, una summa di quello che bisogna evitare allo spettatore che incautamente incespica in una pellicola come questa caratterizzata da una piattezza di narrazione elevata al sublime. La trama, ridotta all’osso ( e del resto c’è ben poco da raccontare) ci porta sulle orme di Nikos, giovane pittore di origine greca che frequenta una scuola d’arte e che vive temporaneamente presso Elda, una bella donna divorziata e con una figlia con seri problemi. Dedicato al mar Egeo 1

Come ovviamente prevedibile, tra i due nasce la passione e Nikos diventa l’amante della donna, stringendo contemporaneamente un bel legame con la figlia della donna, Lisa. La quale però sviluppa ben presto un’attrazione morbosa per Nikos. Il giovane, per guadagnare due soldi, accetta di diventare modello per la fotografa Gloria, che ha già una modella che presta saltuariamente il suo corpo per delle foto scattate dalla stessa Gloria. Anita, la modella, è una donna disinibita e ben presto seduce Nikos; il marito di Elda informa l’ex moglie della cosa, e naturalmente la reazione della donna è delle peggiori. Durante un viaggio in Grecia accade però qualcosa di tragico… Sospendo qua la narrazione della trama e non certo perché il finale riservi chissà quale sorpresa:anzi, se c’è una cosa che getta a mare quel pochissimo di buono che si era visto fino a questo momento è proprio la fine ridicola e francamente illogica della pellicola stessa. Spacciato come un film erotico, Dedicato al mar Egeo

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in realtà non a quasi nulla di erotico, così come il titolo è assolutamente fuorviante su una presunta location greca; le uniche scene blandamente erotiche sono girate praticamente al buio mentre abbondano i nudi di Ilona Staller, una delle protagoniste del film. Poiché del film non “dovrebbe” esistere una versione digitale, chiunque abbia visto le rare riduzioni da VHS avrà notato che la riduzione stessa presenta la censura operata dal mercato giapponese, che prevede per le inquadrature delle parti intime una pecetta bianca. Così chi vede la pellicola finisce per perdere forse l’unica attrattiva del film, ovvero le nudità generosamente esposte di Ilona Staller. Che, come attrice, ha tante pecche come il protagonista maschile del film, l’attore di fotoromanzi Claudio Aliotti, qui in una delle sue nove apparizioni cinematografiche; di ben altro calibro ovviamente la presenza di Olga Karlatos, una delle attrici peggio utilizzate dal cinema negli anni settanta e che è l’unica ad avere doti recitative a sufficienza.

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Di scarso peso la presenza di Stefania Casini, mentre il decantato mar Egeo compare in pratica sul finale del film e fa da sfondo alla quasi folle sequenza finale, che purtroppo, come già detto, chiude in maniera pessima un film di per se deludentissimo. Brutto film, quindi, insipido e senza alcun interesse, con l’unico pregio di una gradevole colonna sonora firmata dal grande Ennio Morricone Nel web è presente l’unica versione ad oggi conosciuta della pellicola, ricavata da una VHS destinata al mercato giapponese, di scarsissima qualità, con sottotitoli in giapponese e censurata in alcune parti.Il link per vedere il film è il seguente: http://my.mail.ru/video/mail/vm_gluschenko/104076/104090.html#video=/mail/vm_gluschenko/104076/104090

Dedicato al mare Egeo di Masuo Ikeda, con Claudio Aliotti,Stefania Casini,Sandra Dobrigna,Olga Karlatos,Ilona Staller Drammatico, Italia 1979

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Claudio Aliotti … Nikos Stefania Casini … Gloria Sandra Dobrigna …Lisa Olga Karlatos … Elda Ilona Staller … Anita

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Regia: Masuo Ikeda Soggetto: Masuo Ikeda Musiche:Ennio Morricone Fotografia:Mario Vulpiani Montaggio:Mario Morra

 Dedicato al mar Egeo banner recensioni L’opinione di Ronax dal sito http://www.davinotti.com Tanto per cominciare il titolo c’entra poco o nulla, visto che il Mar Egeo entra in scena solo nel finale e ha unicamente il ruolo di rassegnato spettatore dell’epilogo di questo grottesco melodrammone erotico girato dal giapponese Masuo Ikeda in vacanza fra Roma e la Grecia. Forse mai distribuito in Italia e oggi disponibile solo su un supporto nipponico con ridicole pecette censorie sul pube della Staller, il film è una somma di situazioni insensate e dialoghi insopportabili resi ancora più atroci da una recitazione canina. Evitabilissimo. L’opinione di Homesick dal sito http://www.davinotti.com Tarda produzione anni Settanta, eredita umori samperiani e punta tutto sulla carta della bellezza: la bellezza del corpo femminile (prima i nudi “accademici”, poi quelli della Karlatos, della Staller e della Casini), del paesaggio naturale (l’incontaminato Mar Egeo) e delle musiche (Morricone con apporti vocali della Dell’Orso). Questo consente di prevenire i possibili agguati della noia provocata da una sceneggiatura poco brillante – financo con maldestri risvolti onirici – e un finale tanto prevedibile quanto improbabile. L’opinione di Ilgobbo dal sito http://www.davinotti.com Nikos, squattrinato e svogliato studente d’arte a Roma, se la fa con la padrona di casa, che vive con una strana bambina. Ma un incontro casuale… Erotico con pretese artistiche del giapponese Ikeda, costellato di inquadrature pretenziose e dialoghi terrificanti, musicati da Morricone con tanti sospirini e sospironi di Edda Dell’Orso: praticamente un trionfo del kitsch, specie nell’ultima parte che si svolge in Grecia. Le bellone del film si danno tutte un gran daffare, inutile dire che è Cicciolina a regalare i numeri migliori. Dedicato al mar Egeo banner foto   Dedicato al mar Egeo locandina 5   Dedicato al mar Egeo locandina 4   Dedicato al mar Egeo locandina 3 Dedicato al mar Egeo locandina sound 2

 Track list della colonna sonora

01 – Dedicato al Mare Egeo 02 – Un Grido 03 – Lisa E Nikos 04 – Cavallina A Cavallo 05 – E Fuggi Via 06 – Un Songno Al Sole 07 – Lisa Del Mare Egeo 08 – Vedere E Non Sapere 09 – Tre Per Tre 10 – La Donna Della Finestra Difronte 11 – Dedicato Al Mare Egeo 12 – Cavallina A Cavallo 13 – Dedicato Al Mare Egeo (Masuo Ikeda) 14 – Lida Del Mare Egeo (Masuo Ikeda) 15 – Dedicato Al Mare Egeo (Masuo Ikeda, Ruggero Gatti)

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Brogliaccio d’amore

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Brogliaccio d'amore locandina 2

Un momento che sembra all’improvviso spazzare via certezze e punti fermi, una vita tranquilla e probabilmente monotona, senza acuti.
E’ quello che sta vivendo l’ingegner Giacomo, un maturo uomo senza legami, abituato alla routine di una vita da scapolo in cui si muovono delle figure senza però incidere nel presente.
Stanco di tutto questo, Giacomo decide di dare un taglio netto al passato recidendo i legami con il quotidiano fatto di lavoro, amici e di donne; una roulotte, una penna e un diario è in effetti quello che gli serve e caricata un po di roba ecco che inizia l’avventura di Giacomo.
Ha deciso di scrivere, di raccontare se stesso e la sua vita e per farlo si stacca da tutto e si dirige verso il sud.
Ma ha anche bisogno di capirsi e per farlo ha bisogno di qualcuno che lo stia a sentire, che possa in qualche modo essere uno specchio vivente che ascolti e possibilmente non giudichi.

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Questo specchio si incarna in Roberta, una donna con un passato da prostituta e ora diventata una escort al servizio di uomini maturi in crisi di identità come Giacomo.
Il viaggio verso sud diventa rivelatore e si mostra sotto una luce diversa da quanto preventivato dall’uomo;Roberta è una donna complessa, intelligente e sensibile e ben presto è l’amore a far capolino.
Lui si innamora di lei, lei si innamora di lui.
Nel frattempo il suo diario cresce in dimensioni e un giorno Giacomo decide di leggere a Roberta quello che ha scritto; con la sensibilità di un elefante Giacomo ha però espresso giudizi sprezzanti sulla donna e Roberta, ferita da tanto egoismo e supponenza lo lascia a meditare sui suoi errori.
Brogliaccio d’amore è un film del 1976 ormai completamente dimenticato e non senza ragione; ampolloso, verboso e caratterizzato principalmente da un andamento lento come una lumaca, il film diretto da Decio Silla che trasporta sullo schermo una sceneggiatura in cui lo stesso Silla ha messo mani con l’aiuto di altri quattro collaboratori (Gilberto Squizzato, Luisa Montagnana, Tullio Nemi Cheli) è un prodotto ben recitato ma nulla più.
La storia trita del maturo borghese in crisi è uno degli espedienti più usati del cinema anni 70 e questo film nulla aggiunge ai tanti ritratti di uomini al bivio che sono stati disegnati in quel periodo.

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Come generalmente avviene in prodotti dalle tematiche simili, Silla cerca di intellettualizzare la storia, finendo per rendere il film pesante e indigesto, mitigato da un finale amaro che quanto meno ci risparmia il lieto fine.
Il regista di Tortona, qui alla sua prima e ultima opera cinematografica non lascia alcun segno, nonostante abbia avuto per le mani, in quest’opera, due attori bravissimi e espressivi come Enrico Maria Salerno e Senta Berger.
Che nonostante la fragilità del soggetto ce la mettono tutta, ammortizzando l’effetto noia che deriva dalla verbosità eccessiva dei dialoghi, dalla mancanza di movimento di cui il film soffre e dalla prevedibilità di quanto scorre sullo schermo.
La coppia Salerno-Berger funziona, indubbiamente, quello che non funziona è l’atmosfera da road movie autobiografico che non solo non ha fascino, ma che diventa con il passare dei minuti una palude di noia e di già visto, il tutto condito da musiche assolutamente inadeguate e da conversazioni che stimolano (più che un eventuale dialogo post film) una bella dormita sul divano, rimpiangendo il tempo passato a guardare un’opera francamente barbosa oltre il limite consentito.

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Motivo per il quale il film non ebbe nessun successo e sparì letteralmente dallo schermo per essere riesumato raramente da qualche tv in cerca di tappi per riempire la programmazione notturna.
Film da dimenticare, quindi, a meno che non si voglia assistere ad una prova maiuscola di recitazione, fornita da due grandi interpreti come Enrico Maria salerno e Senta Berger.
Troppo poco però per valere una visione.
Film praticamente introvabile in rete; esiste però una versione decente sul mulo, con una buona qualità audio video.
Brogliaccio d’amore
Un film di Decio Silla. Con Enrico Maria Salerno, Senta Berger, Paolo Carlini, Marisa Valenti, Lorenzo Fineschi Drammatico, durata 94 min. – Italia 1976.

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Enrico Maria Salerno … Giacomo
Senta Berger … Roberta
Paolo Carlini … Pierino
Marisa Valenti … Patrizia

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Regia: Decio Silla
Sceneggiatura:Gilberto Squizzato, Luisa Montagnana, Tullio Nemi Cheli, Decio Silla
Musiche:Giuseppe Cremante
Fotografia:Lamberto Caimi
Montaggio:Enzo Monachesi
Art Direction : Mimmo Scavia
Costume Design :Lia Francesca Morandini

 

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L’opinione di Il gobbo dal sito http://www.davinotti.com

Esiziale quanto misconosciuto detrito del filone sentimental-borghese, con dialoghi di inenarrabile ampollosità recitati (non senza convinzione, va ammesso) da un Salerno sdrucito in cerca di sè stesso (il guaio è che si trova) e una Senta Berger (laudata semper) improbabilissima ex-mignotta, fra musiche terrificanti (che vanno da “Marina” a una pantomima di “Europa”) e preoccupantissime mises del buon Enrico Maria. Fantastica, fra le varie amenità, la scena coi tossici moribondi raccattati sul ciglio della strada.

L’opinione di Markus dal sito http://www.davinotti.com

Il film è palloso e non ha ritmo (cosa più grave), con la presenza di ottimi attori che risollevano la pellicola. Il film si fa fatica a seguire, sostanzialmente perché è un guazzabuglio di conversazioni lunghe ed estenuanti, che oserei definire “parapsicologiche” nel senso barboso del termine. Ottima la musica di Giovanni Cremante, in cui spicca il pezzo funky che accompagna la Berger nella scena del mercato. Una pellicola rara.
L’opinione del sito http://www.gentedirispetto.com

Ho visto questo film di genere sentimentale-psicologico.
A mio avviso, il film resta in piedi grazie alla bravura del grande Salerno e alla bellezza della Berger.
La storia risulta piuttosto ingarbugliata e difficilmente credibile ed un po’ di ritmo in piu’, non avrebbe guastato: infatti nell’insieme risulta piuttosto noioso, forse per questo, al cinema nel 1976, passò quasi inosservato.

 

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Le sorelle

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Le sorelle locandina 2

Diana lavora come traduttrice;ma il lavoro la stressa, così pianta tutto, sale su un treno e si avvia a incontrare sua sorella Martha che non vede da due anni.
L’incontro con Martha è affettuoso e tenero; la donna sembra felice, vive in una grande casa circondata dalle cose che desidera di più ed è sposata con Alex, che è l’uomo che ogni donna sogna. Pieno di attenzioni, delicato e innamorato di sua moglie, Alex è un coltivatore di fiori rari ed esotici.
Da subito però si capisce che tra Diana e Martha c’è qualcosa di inespresso, di sospeso nel passato: attraverso alcuni flashback intuiamo qualcosa di morboso, di ossessivo che Diana provava per sua sorella.
La sera, un altro indizio mostra che probabilmente la vita di Martha non è così felice come appare: durante un rapporto con Alex, la donna sembra quasi triste e inappagata, mentre l’uomo la guarda tristemente.
Ancora un flashback ci riporta al passato, ad una sera di pioggia in cui Martha, spaventata, si è rifugiata nel letto di Diana, che l’ha abbracciata e poco dopo baciata con sospetta passione.

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L’indomani Alex, Diana e Martha vanno sulla spiaggia, lungo le rive della quale Martha scatta alcune foto; in una di esse però Diana sotto gli occhi della sorella bacia appassionatamente Alex, mettendo i coniugi in palese imbarazzo.
Nel frattempo Diana conosce Dario, il giovane cugino di Alex, che sembra molto colpito dalla donna, che invece non sembra affatto interessata alla corte che timidamente e in seguito apertamente, Dario le fa.
Martha intanto conferma che il quadretto idilliaco mostrato alla sorella ha almeno una profonda incrinatura;la donna infatti ha una relazione sessuale con il giardiniere della tenuta in cui vive, cosa della quale probabilmente Alex è a conoscenza.
Diana si sente sempre più attratta da sua sorella, forse agganciata a quel passato dal quale Martha è invece fuggita.
Alex inizia a sospettare che Diana non sia venuta solo per affetto verso sua sorella ed esterna la cosa a Dario, invitandolo a lasciare con lui le due donne da sole, in modo da permettere loro di chiarirsi.
Durante un drammatico colloquio, Martha rimprovera a sua sorella di averla cambiata in modo irreversibile e le confessa di esser scappata da lei per paura di ciò che si era creato fra di loro.
Finale intenso e drammatico.

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Film cupo, caratterizzato da scarni dialoghi e lunghe inquadrature in cui a parlare sono i volti dei protagonisti, Le sorelle è un film di ottima fattura, ben recitato e sopratutto splendidamente fotografato.
Un film lento e introspettivo, senza accelerazioni, che trae la sua forza proprio dalla capacità delle due attrici protagoniste, le sorelle del titolo, che si guardano, cercano nei volti sentimenti e cose non dette, espressioni di stati d’animo che la mente alle volte non riesce a controllare.
Le sorelle, di Roberto Malenotti, può essere distinto in due parti ben precise; la prima, che dura per quasi tre quarti di film, che ci mostra attraverso un uso sapiente e non invasivo del flashback il morboso rapporto che Diana ha creato e Martha subito nel passato.
Un passato che le due donne si ritrovano ad affrontare e che Diana capisce essere diventato imbarazzante ed ingombrante nel presente di Martha, che scopriamo avere un rapporto profondo eppure non totale con Alex, uomo buono e gentile che probabilmente sa della relazione della moglie con il giardiniere e che pure tollera per amore.
Relazione che Martha ha probabilmente allacciato solo per trovare quel piacere sessuale che evidentemente non riesce a trovare completamente in e con Alex e che ha le sue radici nel rapporto proibito vissuto nel passato con Diana.

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Che viceversa non solo non ha legami,ma che ha conservato in se il ricordo della passione proibita per Martha e dalla quale non può e non vuole scappare.
Il finale, drammatico e assolutamente coerente con quanto narrato porta a galla una verità che peserà fino all’ultima inquadratura del film.
Che ha un suo fascino, nonostante la lentezza e i dialoghi lasciati spesso interrotti, a tutto vantaggio delle espressioni, delle cose che si vorrebbero dire e delle cose non dette.
Le sorelle è il primo dei due lungometraggi diretti da Roberto Malenotti, che in seguito, a distanza di ben 15 anni dirigerà Cenerentola 80, un riadattamento dignitoso in chiave moderna della celebre favola dei fratelli Grimm.
In questo film Malenotti mostra buona mano e indubbia capacità di direzione degli attori, che del resto sono ottimi professionisti, a cominciare dalla fascinosa e enigmatica Nathalie Delon, che interpreta Diana per passare a Susan strasberg, bella e intensa protagonista nel ruolo di Martha.
Molto bene i due “maschietti” del cast, il rodato Massimo Girotti che è la consueta garanzia di recitazione sobria e inappuntabile e un giovane Giancarlo Giannini alle prese con il personaggio di Dario l’unico forse a non essere abbastanza approfondito.
Il film non delude;appaiono davvero ingenerose le critiche che molti hanno rivolto a questo film, che invece mostra molto garbo nel trattare un argomento scabroso come l’incesto suggerito tra le due sorelle senza usare minimamente il morboso, ne nelle scene ne con nudi che sarebbero apparsi una concessione ai guardoni delle’poca,
Ad avercene di film trattati con tale delicatezza, oggi.
Per quanto riguarda la reperibilità, purtroppo non o trovato versioni in italiano sulla rete, ma sul mulo è disponibile una splendida versione in divx con dei colori praticamente perfetti e un audio unico, una delle cose migliori nelle quali sono incappato ultimamente.

Le sorelle

Un film di Roberto Malenotti. Con Giancarlo Giannini, Massimo Girotti, Nathalie Delon, Susan Strasberg,Lars Block, Attilio Dottesio Drammatico, durata 91 min. – Italia 1969

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Susan Strasberg: Marta
Nathalie Delon: Diana
Massimo Girotti: Alex
Giancarlo Giannini: Dario

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Regia:Roberto Malenotti
Soggetto Renzo Maietto Alex Fallay
Distribuzione:Euro International Film
Sceneggiatura Brunello Rondi Roberto Malenotti
Fotografia Giulio Albonico Sebastiano Celeste (operatore)
Musiche Giorgio Gaslini
Montaggio Antonietta Zita
Scenografia Luciana Marinucci
Arredamento Giorgio Bertolini
Costumi Luciana Marinucci

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L’opinione di Il gobbo dal sito http://www.davinotti.com

Spalleggiato da Rondi, Malenotti vorrebbe antonioneggiare, se non addirittura bergmaneggiare. Ma non è roba per lui e rimane in superficie. Una superficie pregevole, però, di ottima resa figurativa e con discrete atmosfere, sebbene di quando in quando rovinate da sciocchezzuole (tipo il rasoio elettrico col filo più lungo della storia del cinema). Molto bella la Delon. Passabile.

L’opinione di Il koreano dal sito http://www.davinotti.com

Se i primi dieci minuti possono definirsi la materializzazione di un colpo di genio, non altrettanto si può dire dei rimanenti novantanove: un fotoromanzo dai colori intensi, in cui la psicologia dei quattro personaggi protagonisti va a farsi benedire per lasciar spazio ad una scadente morbosità da libro erotico. Un punto di partenza per il giovane Giannini e un punto d’interruzione per Malenotti, che rimarrà inattivo per circa quindici anni. Notevole, a tratti, il commento musicale di Gaslini.

L’opinione del sito http://www.imilleocchi.com

Azzardiamo un’attribuzione a Brunello Rondi, per una proiezione che vuole inserirsi nella riscoperta a tappe del regista, anche in occasione dell’uscita di un volume cui abbiamo collaborato. Questo film con la splendida accoppiata di Susan Strasberg e Nathalie Delon è tutto fuorché quel banale pre-soft che a molti apparve. La musica di Giorgio Gaslini ben lo lega alla coeva regia Le tue mani sul mio corpo e indica che Rondi era anche qui più che solo sceneggiatore. Viatico alle successive tappe di una serie “erotica”, esige che l’opera dell’autore si sottragga agli equivoci (compreso quello dei recuperi trash).

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Le impiegate stradali-Batton story

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Forse l’unico, stiracchiato sorriso in questo film lo strappa il titolo, quel “batton story” aggiunto accanto a Le impiegate stradali per indicare che l’argomento della pellicola riguarda il mestiere più antico del mondo.
Impiegate stradali, ovvero prostitute, con quel batton che elide una vocale trasformando la parola in una equivalente inglesicizzata senza ovviamente corrispondenza nella lingua albionica.
Nient’altro, poi, su cui ridere o quanto meno sorridere, perché il film in questione è piatto e fondamentalmente barboso come pochi.
Veniamo ad un sunto che più sunto non si può della storia:
Marisa Colli, insegnante romana, ha a cuore i diritti delle donne, in particolare delle prostitute.
Una sera, mentre è in auto con il fidanzato Stefano, ci litiga e scende dall’auto; nella zona agiscono delle prostitute che in seguito ad una retata vengono portate in questura e malauguratamente con loro viene fermata anche Marisa.
Da questo momento la donna decide di prendere a cuore le sorti delle lavoratrici del marciapiede, le impiegate stradali del titolo e tenta di fondare un sindacato, incontrando la generale ostilità, a cominciare dai papponi delle stesse.

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Grazie ad alcuni espedienti riuscirà nell’intento tra il tripudio generale con tanto di happy end.
Mario Landi, regista televisivo di un certo valore (suoi 16 episodi del commissario Maigret e 6 dei Racconti del maresciallo) è stato regista cinematografico di modestissime opere che si ricordano principalmente per la modestia dei risultati ottenuti, prodotti dai titoli che gli amanti del z movie ricordano benissimo come Giallo a Venezia o Patrick vive ancora.
Qui il regista siciliano prova la strada della comicità unita ad una satira di costume che negli anni settanta poteva avere una qualche rilevanza, vista l’attenzione verso i fenomeni di costume e la lotta per le libertà civili che caratterizzò quel periodo.
Ma lo fa con un film che manca clamorosamente di componenti fondamentali, sia di uno straccio di sceneggiatura sia un andamento da commedia ironica o quanto meno basata su gag divertenti.

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Pur assemblando un cast al femminile di un certo rilievo (Marisa Merlini, Femi Benussi, Mariangela Giordano, Daniele Giordano) Landi consegna alla macchina da presa un film completamente anonimo, che non avendo alla base un tema svolto in maniera “seria” finisce per impantanarsi in gag di nessun valore, sulle quali ridere è impresa assolutamente ardua.
Il cast maschile poi è davvero da film di serie z e l’eccesso di caricatura che gli attori del film usano per i loro personaggi finisce per essere una zavorra che appesantisce il tutto rendendo la pellicola indigeribile.
Eufemia Benussi da Rovigno, l’insegnante Marisa, per una volta recita completamente vestita mentre qualche nudità la espone Daniela Giordano, alle prese con il ruolo di una “battona” (per restare in tema con il titolo) orba e dal cuore d’oro, mentre Marisa Merlini è qui alle prese con uno di quei ruoli materni che il cinema degli anni settanta le offri con una certa costanza.

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Presente nel cast anche Mariangela Giordano, una improbabile maga.
Un film sciatto e senza nessuno spunto degno di menzione, quindi.
Dopo anni di meritato oblio, la pellicola è stata editata in digitale: chiunque voglia visionarla può farlo all’indirizzo http://www.youtube.com/watch?v=36f5EdR-a9s

Le impiegate stradali – Batton Story

Un film di Mario Landi. Con Marisa Merlini, Femi Benussi, Daniela Giordano , Toni Ucci,Mariangela Giordano, Gianni Cajafa, Gianni Dei Commedia, durata 90 min. – Italia 1976

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Femi Benussi: Marisa Colli
Gianni Cajafa: Arturo
Giorgio Caldarelli: Tiberio
Gianni Dei: Stefano
Daniela Giordano: Pucci
Mariangela Giordano: Priscilla
Marisa Merlini: Zaira
Toni Ucci: Carlo

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Regia Mario Landi
Soggetto Piero Regnoli
Sceneggiatura Piero Regnoli
Produttore Gabriele Crisanti
Produttore esecutivo Giuliano Simonetti
Casa di produzione Maxi Cinematografica Italiana
Fotografia Franco Villa
Montaggio Mario Arditi
Musiche Willy Brezza, Mario Molino
Scenografia Claudio Riccardi

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L’opinione di mm40 dal sito http://www.filmtv.it

Da un’idea squinternata (la fondazione del sindacato delle prostitute) nasce un film squinternato; il regista è lo stesso Mario Landi che firmò le prime edizioni del mitologico Un due tre, il varietà satirico di Tognazzi & Vianello agli albori della tv in Italia. La cosa può sorprendere, ma fino a un certo punto: siamo nel 1976 e la censura è oramai piuttosto tollerante; sul grande schermo domina la commedia scollacciata dall’inizio del decennio (si pensi al filone decamerotico) e non ci sono quasi più argomenti considerabili tabù, se si prescinde da politica e religione. Il sesso va invece benissimo, anzi: invoglia i produttori, i registi e soprattutto il pubblico a riempire le sale cinematografiche. Partendo da tali presupposti, ecco che nasce naturalmente un prodottino dal budget esiguo e dalle trovate comiche molto, molto modeste come questo Batton story (è il sottotitolo). Marisa Merlini (che meriterebbe evidentemente di meglio, ma tant’è), Femi Benussi, Daniela Giordano, Gianni Dei e Toni Ucci sono gli interpreti principali; la sceneggiatura è di Piero Regnoli e questo è il punto dell’intera operazione su cui meno si rimane sorpresi in assoluto; azzeccate, cioè leggere, le musiche di Willy Brezza e Mario Molino.

L’opinione di B.Legnani dal sito http://www.davinotti.com

Tremendo. Girato a Milano in studi poverissimi e in location raccogliticce (Via Padova, la Comasina eccetera), non strappa un sorriso neppure per sbaglio. Sceneggiatura micidiale (Regnoli). Tolto il gruppo Benussi-Merlini-Ucci-le due Giordano, il resto del cast è semplicemente agghiacciante (compreso Caldarelli, poi anima del Gabibbo!). Nel totale disastro riescono comunque a spiccare la simpatica bravura della Merlini e di Ucci, mentre si conferma gradevole il musetto di Daniela Giordano (qui assai miope, esattamente come nella vita). Ma il livello del film resta inesorabilmente infimo.

L’opinione di Homesick dal sito http://www.davinotti.com

Per Landi il passaggio dalla TV al cinema è deleterio e in questa commedia sexy pro legalizzazione del mestiere più antico del mondo si intravedono già la sciatteria e le miserie scenografiche e narrative (vedasi Dei che fa scendere la seriosa Benussi proprio tra le puttane al lavoro) dei pessimi Giallo a Venezia e Patrick vive ancora. Se la Benussi è sempre casta (nei nudi si esibiscono Daniela Giordano e un gruppetto di illustri sconosciute) e la Merlini e Ucci rifanno se stessi, l’unico ad avere una marcia in più è l’iracondo Cajafa, doppiato da un tonitruante Rino Bolognesi.

L’opinione di Panza dal sito http://www.davinotti.com

Penosissima commedia che parte da un assunto persino balzano ma che messo in mano a un regista attento poteva dare un film sopra le righe. Qui si gioca una carta più routinaria tentando di puntare sui protagonisti eliminando praticamente tutti i nudi. Manca proprio la base: Landi se la cavava molto meglio nei Maigret (qui usa per metà film una tremolante e fastidiosa camera a mano) con Cervi e il cast è totalmente allo sbando. Se poi aggiungiamo che le location sono sterili quanto le battute del film, è lapalissiana la vuotezza del tutto.

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Un caldo corpo di femmina (Female vampire)

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Female vampire o Un caldo corpo di femmina nell’esplicito titolo italiano è uno dei film più famosi di Jesus Franco,il settimo in appena due anni girato con protagonista quella che sarà la sua musa, la sua attrice preferita nonchè sua moglie, Rosa María Almirall Martínez conosciuta come Lina Romay.
Un film, va detto subito, diventato un cult per la presenza proprio dell’affascinante attrice catalana che interpreta il personaggio di Irina von Karlstein, il vampiro che si aggira muta nel film seducendo e uccidendo chiunque abbia la sventura di giacere con lei.
Un film senza una sceneggiatura lineare, anzi, piuttosto caotico, con pochi dialoghi spesso anche incomprensibili e una trama ridotta all’osso.
Quale allora il motivo del successo della pellicola?
Probabilmente o meglio, quasi sicuramente la presenza di Lina Romay nel film, che compare in una scena iniziale completamente nuda in un bosco nebbioso, coperta solo da un mantello scuro.

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Una scena rimasta memorabile che va aggiunta ad un film che è essenzialmente in linea con la stragrande maggioranza della produzione del regista spagnolo, quindi permeata da un erotismo molto esplicito che in alcuni tratti sconfina nel hard.
La trama è raccontabile in due parole: la contessa Irina von Karlstein, ultima discendente di un’antica stirpe di vampiri vaga nell’isola di Madera alla ricerca continua di di esseri umani, che siano uomini o donne con cui soddisfare il proprio piacere.
Dopo aver giaciuto con le persone che soggioga, Irina le uccide creando quindi l’allarme nella plizia dell’isola.
E’ il dottor Roberts a capire che dietro i misteriosi omicidi c’è la mano di un vampiro,mentre Irina conosce il Barone von Rathony, un giovane e affascinante romanziere del quale, per la prima volta, prova un sentimento di amore vero.
Il rapporto tra i due è di natura telepatica, essendo la contessa muta, ma tra i due nasce un sentimento molto forte;tuttavia neanche lui può sfuggire alla maledizione di Irina, che da quel momento inizia a pensare di abbandonare il mondo reale…

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A parte la bellezza davvero notevole e la sensualità esasperata di Lina Romay, il film di Franco non è davvero memorabile, come del resto gran parte della produzione del cineasta spagnolo.
Tuttavia a tratti alcune scene oniriche, il surrealismo delle situazioni e una certa ambientazione brumosa, tipica dei film gotici o di quelli espressamente dedicata ai vampiri possono valere la visione del film stesso.
Film quindi di qualche interesse, presente in un mucchio di versioni e con svariati titoli che vanno da Erotikiller a Female Vampire, da La comtesse noire (che è poi il titolo originale) a La comtesse aux seins nus.

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Un caldo corpo di femmina

Un film di Jesus Franco. Con Jack Taylor, Alice Arno, Lina Romay, Gilda Arancio Titolo originale La comtesse aux seins nus. Erotico, durata 89 min. – Francia, Belgio 1975.

 

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Lina Romay: contessa Irina von Karlstein
Jack Taylor: barone von Rathony
Jesús Franco: dr. Roberts
Jean-Pierre Bouyxou: dr. Orlof
Luis Barboo: maggiordomo della Contessa
Alice Arno: Maria
Monica Swinn: principessa di Rochefort
Anna Watican: Anna, la giornalista
Roger Germanes: il ragazzo dei boschi
Ramón Ardid: massaggiatore
Bigotini: ispettore della sezione stupefacenti
Pierre Querut: ispettore
Gilda Arancio: vittima della principessa di Rochefort

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Regia Jesús Franco
Soggetto Jesús Franco
Sceneggiatura Jesús Franco
Produttore Marius Lesoeur (Eurociné, Parigi)
Pierre Querut (Général Films, Belgio)
Fotografia Jesús Franco
Montaggio Jesús Franco
Musiche Daniel J. White
Trucco Elisenda Villanueva

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L’opinione di giurista81 dal sito http://www.filmtv.it

Soggetto assai interessante e affascinante (Contessa vampira che si aggira, vestita con un solo mantello marrone, per nutrirsi del sangue delle vittime) non sviluppato da una sceneggiatura adeguata. Franco abbonda troppo con l’erotico, sconfinando più di una volta nel porno soft. Peccato… Fotografia molto più curata del solito, così come le scenografie (favolose quelle immerse nella nebbia). Ottima la colonna sonora. Sufficienti le interpretazioni. Montaggio medicore, regia perfezionabile. Assente lo splatter. Un’ultima considerazione sul titolo italano con i distributori che hanno optato per uno davvero brutto non mutuando il più adeguato “La Contessa Nera”. Nel complesso una pellicola non pienamente riuscita a metà strada tra l’erotico e l’horror.

L’opinione del sito http://www.filmhorror.com

Lento e insulso “horror” erotico privo di situazioni stimolanti, realizzato anche in versione con inserti hard, il cui unico scopo sembrerebbe quello di aggiungere noiosi minuti alla già eterna durata di questa soporifera produzione Eurociné.
Peccato, perché le idee Jesús Franco le avrebbe anche, disegnando le scene come se fossero tavole di uno di quei fumetti erotici tipo Jacula” o Vampirella, ma non riesce a dare ritmo a una vicenda che, come succede spesso nei suoi film, non ha alcun senso logico.
Lina Romay, la protagonista assoluta della pellicola, se la cava alla meno peggio, manca però della giusta finezza per riuscire a creare un’atmosfera realmente erotica attorno al suo personaggio. In altre parole, non regge il confronto con la torrida Soledad Miranda, deceduta tragicamente pochissimo tempo prima.

L’opinione del sito it.darkveins.com

Poverissima e squallida produzione dei primi anni ’70 di J. Franco, con protagonista Lina Romay (storica compagna dello stesso Jess) nei panni di Irina, voluttuosa vampira affamata (di sesso) …
V’è una scena che è l’apoteosi del trash: Lina Romay che sbatte il mento contro l’obiettivo mentre cammina frontalmente verso la telecamera: la scena non è stata tagliata in fase di montaggio!
Non è eccezionale, ma lo consiglio ai “Franchisti” incalliti.

L’opinione di Cotola dal sito http://www.davinotti.com

Film vampiresco al femminile caratterizzato da un ritmo piuttosto dilatato, a tratti direi catatonico e dalle copiose scene erotiche in cui notevoli bellezze muliebri mostrano più e più volte le loro “doti”. Per il resto non c’è molto altro se non le musiche datate (ma buone) ed una fotografia decente. Le voci off sono spesso gratuite, deliranti ed inconcludenti. Sceneggiatura al minimo storico. In ogni caso non un disastro completo. Jess Franco, infatti, ha fatto molto ma molto peggio.

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Un attimo di vita (La sensualità è un attimo di vita)

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Difficile da catalogare, difficile da comprendere:La sensualità è un attimo di vita, o anche semplicemente Un attimo di vita di Dante Marraccini assomiglia molto più ad una piece da teatro d’avanguardia che ad un film.
Colpa ( o merito) della mancanza assoluta di una trama, di dialoghi spesso astrusi o al limite del comprensibile e sopratutto oscuri e eccessivamente verbosi.
Un film che è una stranezza completa, fatto di sequenze spesso caotiche e senza logica apparente, eppure con un certo fascino visivo legato proprio al caleidoscopio di immagini che sembrano un non sense, affiancate l’una all’altra e cariche di simbolismi difficilissimi da afferrare.
Per certi versi, Un attimo di vita assomiglia ad alcuni film avanguardistici di fine anni sessanta, quelli in cui si sperimentava liberamente, senza farsi intrappolare da copioni o sceneggiature, girati con due soldi e lasciati spesso volutamente privi di trama, quasi a voler sottolineare, nel loro caos, l’identica situazione della vita sociale, il fervore a anche la confusione di un momento storico dinamico e irripetibile, un coacervo di aspirazioni e lotte che saranno l’impronta lasciata dalla vita e dalla cultura di quegli anni straordinari.

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Parlavo di un certo fascino delle immagini, che si lega volutamente agli scenari che il regista utilizza e dei dialoghi spesso incomprensibili anche perchè slegati dalla logica visiva delle immagini che scorrono sullo schermo e che iniziano da subito a calare lo spettatore in una realtà estraneata sin dalle prime sequenze.
Un uomo e una donna corrono nudi sulla spiaggia e si accorgono che in lontananza qualcuno si è avvicinato alla loro jeep; lo raggiungono e lo sconosciuto, senza motivo apparente, colpisce la donna e getta tutto il contenuto della jeep sulla sabbia.
In precedenza la macchina da presa ha indugiato sul volto del giovane nudo e della ragazza stesa accanto a lui, fra piccoli cumuli di rifiuti e copertoni lasciati in bella mostra sulla spiaggia.
Che sia casuale o no, la scena rimanda allo sfacelo della società dei consumi, ma potrebbe trattarsi solo di pura combinazione:fatto sta che il film, da questo momento in poi perde anche la linearità e il dinamismo coordinato per diventare un happening di situazioni assolutamente incomprensibili anche nella loro logica di base.
“E quello da dove salta fuori?”
“Non lo conosco, ma sarà una nostra impressione”
” Forse è un residuato della contestazione”
“Sarà come dici tu,per me è uno che ci vuole fregare”

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Queste poche battute sono già paradigmatiche di quello che accadrà successivamente;i due giovani si avvicinano allo sconosciuto che colpisce la ragazza al volto e dice “Guardatemi bene voi, due: io sono uno che prende quanto trova e ciò che gli serve“, mentre la donna, completamente nuda lo guarda con il volto serio e gli risponde ” Nessuno ti impedisce di inventare, fa parte del gioco,ma non sperare di condizionarci, sei troppo emotivo per reggere un confronto
Il giovane prende le chiavi dell’auto e le consegna allo sconosciuto, che di rimando dice in modo sibillino:”Mi dai le chiavi, dai le chiavi ad uno che non ha il tempo di ascoltare la morale degli altri” e poco dopo “Io sono la vita
Queste frasi sconnesse, senza apparente logicità temporale saranno d’ora in poi la costante del film, unite a immagini che apparentemente mal si conciliano vista la confusione e lo scoordinamento che le legano le une alle altre.
Così vedremo lo sconosciuto accompagnare i due giovani in un villaggio, dove ci sono altri giovani silenziosi vestiti di bianco:l’uomo incontra nuovamente la ragazza della spiaggia che gli dice “Ti avevo sconsigliato di venire, qui non c’è spazio per gli altri, noi siamo diversi e tu appartieni alla normalità
Le scene si susseguono l’una dietro l’altra, mostrandoci i giovani alle prese con un gruppo di persone adulte (i loro genitori) e la loro fuga da essi, lo svaligiamento di una boutique con conseguente sottrazione di capi di vestiario che i giovani indosseranno la sera con un rito collettivo sulla spiaggia e via dicendo.

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Poichè non c’è una trama, ed apparentemente nemmeno una logica, tutto sembra assolutamente preda del caso e volutamente provocatorio;la fuga dei giovani dagli adulti può simboleggiare l’incapacità storica di dialogo tra le generazioni o anche il rifiuto da parte dei giovani stessi di adeguarsi al conformismo dei genitori o tutte e due le cose al tempo stesso.
Fatto sta che il simbolismo diventa via via sempre più ermetico e lo sforzo dello spettatore per seguire una parvenza di logicità in quello che vede è degno di Tantalo.
Dalla sequenza all’interno di una specie di locale notturno al viaggio in un peschereccio fino all’attacco allo sconosciuto con mazze da baseball, tutto assume i contorni indistinti del simbolismo più esasperato, con rari dialoghi che diventano ancora più ermetici.
Il finale del film, che si veste inaspettatamente di color giallo lascia ancor più attoniti, perchè chiude una storia inespressa in modo assolutamente imprevedibile.
Spiazzante.
E’ il termine che più si avvicina nell’intento di provare a dare una definizione di questo film, che sembra più una slide in movimento di immagini simili a quadri astratti che a qualcosa di coerente.
Ancor più difficile è l’interpretazione di quello che è il “messaggio” del film, la sua tematica di fondo e in ultimi termini la sua logica.

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Se fate un giro in rete, alla ricerca di recensioni del film, non ne troverete una sola che accenni in qualche modo ad un sunto lineare del film, proprio per l’impossibilità di riassumere il tutto in poche righe che abbiano il sapore della logica.
Così Un attimo di vita diventa un’esperienza visiva e uditiva di indubbio fascino ma che necessita anche di molta pazienza, così come suggerito da un utente del Davinotti, Fauno, che dice testualmente: “Il miracolo del regista sta nella realizzazione di un film pieno di simbolismi e di concetti astratti impersonato da attori reali più che mai e non con l’uso del solito staticismo ascetico o delle lunghe inquadrature, ma con un dinamismo quasi da film d’avventura. Si vede che è degli anni ’70. La prima volta è molto meglio fissare e interpretare le immagini e i dettagli, senza cadere nel tranello di scervellarsi subito sui dialoghi volutamente arzigogolati e che saranno invece ben afferrati a una visione successiva. Uno dei tre film della mia vita!”
Senza voler sposare la frase finale del commento, suggerisco la visione di questo film ad un pubblico davvero paziente.

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Per quanto riguarda il cast,degne di nota le interpretazioni di Gabriele Tinti, forse una delle più intense e difficili dell’attore nella sua carriera,qui nei panni dello sconosciuto, di Gianni Dei, della bellissima e arcigna (in questo film) Margaret Lee e di due brave e affascinanti attrici come Orchidea De Santis (che interpreta una madre!) e di Rita Calderoni.Il film ebbe noie con la censura e venne bloccato prima di essere finalmente dissequestrato (leggere a tal proposito l’articolo di un giornale dell’epoca nella sezione foto)
Il film di Marraccini è praticamente irreperibile, anche se è possibile procurarsi una versione perfetta ridotta dal Dvd del film;seguendo questo link http://wipfiles.net/53r8s6wam8vd.html è possibile accedere alla versione stessa.
Il problema è che si può scaricare solo con un account premium, ovviamente a pagamento.
Sul mulo è presente la stessa versione, ma al momento disponibile per meno del 60%, per cui occorre attendere i tempi tecnici di caricamento dello stesso.

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Un attimo di vita
Un film di Dante Maraccini. Con Gabriele Tinti, Margaret Lee, Gianni Dei, Rita Calderoni,Orchidea De Santis Titolo originale La sensualità è un attimo di vita. Drammatico, durata 90 min. – Italia 1976

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Margaret Lee: la ragazza
Gabriele Tinti:lo sconosciuto
Gianni Dei.il ragazzo
Rita Calderoni: una ragazza
Orchidea De Santis:una madre

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Regia Dante Marraccini
Sceneggiatura Dante Marraccini
Fotografia Aldo Greci
Montaggio Dante Maraccini

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L’opinione di Davide Pulici dal sito http://www.nocturno.it

Comincia con Gianni Dei e Margaret Lee, nudi come vermi, su una spiaggia, che incontrano Gabriele Tinti. Chi siano esattamente gli uni e l’altro è difficile capirlo, prima che dirlo. Tinti dovrebbe simboleggiare l’uomo comune, della strada, mentre gli altri due appartengono a una comunità di giovani – vestiti di bianco, in un villaggio anch’esso tutto bianco (Sperlonga); ma poi si vestiranno di nero – che sembrano vivere in una dimensione puramente mentale, fuori dal tempo e dallo spazio comuni: forse un esilio scelto, forse una condanna imposta dalla società. I ragazzi (tra i quali ci sono pure Rita Calderoni e la c.s.c. Ada Pometti) guidano poi l’ospite attraverso una sorta di viaggio iniziatico, declamando strani filosofemi e sperimentando situazioni altamente non-sense. Con finale tragico. Qui sì che si ha davvero l’impressione di aggirarsi in un milieu polselliano. Tra l’altro, anche se Marraccini non ricorda il particolare, uno dei personaggi si chiama proprio Polselli: è una sorta di faccendiere, che incontriamo nel contesto di un campo di finocchi (nel senso di gay), ingaggiato dai genitori di Margaret Lee per riportargli la figlia. Questi ultimi sono borghesi benpensanti, che in privato coltivano il piacere delle ammucchiate e vivono in una casa senza pareti, in mezzo a un prato: la madre è Orchidea De Sanctis! E non è che una delle innumerevoli stranezze che popolano una pellicola indefinibile e inclassificabile, figurativamente non malvagia ma dove l’erotismo, che potrebbe giustificare l’operazione, è minimo – il perché della “sensualità” aggiunta al titolo suonerebbe dunque incoerente, se non fosse che in una scena Marraccini sostiene di avere avuto noie con la censura perché, abbracciando un’attrice, un personaggio le insinuava un dito nel sedere. Il regista, che è un formidabile narratore di se medesimo, racconta che il critico Guglielmo Biraghi, da lui interrogato dopo la visione del film, sostenne sic et simpliciter di non averci capito nulla. Mentre una semplice commessa, fuori dal cinema, ebbe a dire che per lei il messaggio era invece chiarissimo.

L’opinione di renato dal sito http://www.davinotti.com

Si parte subito bene, con 5′ di dialoghi incomprensibili ed i mega-capezzoli della bella Margaret Lee. Poi si comincia a capire qualcosa, solo ogni tanto, ma il film resta bizzarro e direi anche forzato; comunque non direi che sia noioso, come invece temevo all’inizio. Purtroppo però la Lee non si spoglia più fino alla fine, a differenza della Calderoni che ci regala una specie di crisi isterica in barca con tentativo di suicidio annesso. Una stramberia che si può vedere, insomma.

L’opinione di iochisono dal sito http://www.davinotti.com

Una sorta di “teatro d’avanguardia” filmato, di cui resta oscura la trama. Inizia oltre qualunque confine del cult: Gianni Dei e Margaret Lee corrono nudi come vermi sulla spiaggia (lui col pistolino ballonzolante). Poi arriva Tinti con una Jeep. Dialoghi polselliani. Poi i due vengono inglobati in una specie di compagnia teatrale errante, corrono, si spogliano e si rivestono, fanno cose strane, viaggiano per terra e per mare. Mah! Da notare la presenza di Rita Calderoni e di un personaggio chiamato “Polselli”. Ma ce l’avranno avuto un copione?

L’opinione di deepred89 dal sito http://www.davinotti.com

Completamente insensato, quasi senza trama (solo un vago intreccio giallo alla fine) e ovviamente senza la minima logica, composto quasi interamente da un insieme di scenette allegoriche (si punta in maniera fin troppo evidente sul colore degli abiti) tra l’erotico e il grottesco. Bellissimo vedere come tutti (e ripeto, tutti!) i dialoghi del film, dal primo all’ultimo, non dicano altro che assurdità. Cast curiosamente ricco, ma con una sceneggiatura del genere serve a poco e orecchiabile colonna sonora. Per amanti del trash e del bizzarro.

L’opinione di Ronax dal sito http://www.davinotti.com

Oscurissima stramberia tardosessantottesca che mischia ambizioni surrealiste alla Cavallone e dialoghi farneticanti alla Polselli conditi con qualche svolazzamento fellineggiante. Girato con mezzi di fortuna, privo di trama e di logica, è un susseguirsi di quadretti da teatro dell’assurdo intercalati da qualche modesto intermezzo erotico. All’inizio incuriosisce, ma doppiata la metà comincia ad annoiare. Intervistato da Nocturno, Marraccini lo considera poco meno di un capolavoro e si atteggia a genio incompreso. Ai posteri l’ardua sentenza.

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Lisa Gastoni

Domenica maledetta domenica

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Bob Elkin, giovane, affascinante, di professione designer e scultore;Daniel Hirsh, maturo dottore di origine ebrea, elegante e raffinato oltre che colto e infine Alex Greville, bella e seducente consulente finanziaria divorziata.
Hanno in comune una relazione “scandalosa”, perchè Bob Elkin, il più giovane dei tre, ha una relazione sia con il dottore sia con la donna.
Ma Bob non si lega fino in fondo ne al suo maturi amante e nemmeno alla donna; Daniel e Alex soffrono della situazione ma non hanno altra alternativa che accettare gli scampoli d’affetto che l’uomo da loro.
Ma arriva il giorno in cui Bob decide di andar via dalla città, verso New York, dove ha la possibilità di far conoscere le proprie doti.Incurante dei danni profondi che rischia di infliggere alle due persone che loro malgrado amano quel giovane un po vanesio, Bob sceglie di non scegliere e abbandona al loro destino Daniel e Alex.

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Da un soggetto di Penelope Gilliatt che ne cura anche la sceneggiatura, John Schlesinger reduce dai fasti e dai successi di Un uomo da marciapiede ricava Domenica maledetta domenica (Sunday bloody sunday) e fa centro ancora una volta, dirigendo un film tenero e struggente, un autentico gioiello che entra di diritto nella leggendaria Hall of fame dei Cento film britannici pù belli di tutti i tempi, la BFI 100 che la British Film Institute nel 1999 stilò con un grande sondaggio fra esperti ed appassionati.
Domenica maledetta domenica racconta in modo intimista un insolito triangolo amoroso tra due uomini e una donna; capovolgendo gli stilemi classici dei due uomini innamorati di una donna, Schlesinger propone un triangolo che vede invece protagonista un giovane e superficiale scultore alle prese con la passione che suscita nei suoi due maturi amanti, portando sullo schermo la passione proibita che travolge Daniel per Bob, con la celebre scena del bacio gay tra i due che suscitò scandalo.
Eppure il film non ha un solo momento di morbosità:tutto è giocato sul filo dei sentimenti, quelli che portano i due maturi amanti di Bob a cercare in ogni modo di legare a loro il giovane, in un tentativo impossibile di recuperare, con i sentimenti, parte della loro giovinezza perduta.
Bob, per Alex e Daniel, rappresenta in qualche modo proprio questo, la primavera dei sentimenti, che i due protagonisti vivono in maniera assolutamente differente.

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Daniel è assolutamente convinto che Bob sia l’ultima chance ma è anche altrettanto convinto che non potrà tenerlo legato a se ancora molto, mentre Alex tenta di lottare in tutti i modi per difendere quel legame che l’età anagrafica sembra condannare irreversibilmente.
In un gioco di frasi non dette, di espressioni, di sguardi e di sentimenti contrastanti, l’impossibile triangolo evolve fatalmente verso il finale inevitabile, dove l’addio di Bob assume le caratteristiche di un addio ai due amanti ma anche la fine di una stagione delle loro vite, la fine di molti sogni effimeri e sopratutto la fine delle illusioni.
A nulla vale il tentativo estremo dei due di dividersi il frivolo Bob, una rinuncia triste al senso di appartenenza che è una delle basi di un rapporto d’amore:anche questo estremo sacrificio sarà inutile e i due maturi amanti del giovane dovranno tornare malinconicamente alle loro vite, lasciando da parte per sempre quella breve stagione intensa che il giovane Bob ha illuminato per breve tempo.
Il tutto sullo sfondo di famiglie ormai in profondo mutamento, un’indagine su quello che ormai le famiglie stesse non condividono più e che invece anelano a cambiare.
Lo sguardo di Schlesinger si posa, infatti,sulla famiglia borghese a cui appartiene Alex e quella ben più tradizionale a cui appartiene il dottore, mostrandone i comportamenti, le regole di vita e passioni, ormai al capolinea:la società cambia e con essa cambiano i valori, cambia la morale.

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Cosa pensare infatti di un legame gay tra un giovane ed un uomo ormai di terza età? E cosa pensare del legame tra una donna avanti negli anni e lo stesso giovane?
Non sono nuove sfide che la società propone a se stessa?
Il costume evolve irrimediabilmente e con esso cadono anche tabù e principi.
Un unione omosessuale, all’epoca assolutamente proibita, esce allo scoperto e diventa naturale; se tutto si conclude è perchè uno dei due partner non ha profondità di sentimenti, non certo perchè la passione è proibita e da vivere nei conflitti di colpa.
Così Schlesinger sdogana in largo anticipo uno dei temi odierni della vita sociale, il diritto alla sessualità indipendentemente dal sesso di appartenenza; l’orientamento sessuale non è più un tabù così come un legame tra una donna molto più in avanti del partner non lo è più da un pezzo.
Con delicatezza e malinconia, il regista disegna tre figure assolutamente diverse tra loro, mostrandone le diverse sfumature di carattere, di sentimenti, di cultura.
Lo fa con un linguaggio in cui la malinconia alla fine prevale su tutto il resto, con un senso di abbandono e di rimpianto che coinvolge non solo i personaggi, ma anche le loro anime.
Grandissimi i due interpreti maggiori, Peter Fynch e Glenda Jackson, due attori che avrebbero meritato l’Oscar per l’intensità con la quale riescono a rendere i loro personaggi.
Molto bene anche Murray Head, mentre nel film compare anche Daniel Day Lewis in una parte microscopica, quella di un giovane teppista.
Valanga di premi pr il film:il Golden Globe 1972 per miglior film straniero in lingua inglese,i 5 Premi BAFTA 1972 per miglior film, miglior regista, miglior attore (Peter Finch), migliore attrice (Glenda Jackson), miglior montaggio e infine anche il david di Donatello per il miglior regista straniero sono il degno riconoscimento ad un film assolutamente da vedere per ricordare un’epoca che, lentamente, ci ha traghettato verso quella moderna attraverso mille contraddizioni.

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Un film di John Schlesinger. Con Peter Finch, Glenda Jackson, Murray Head, Bessie Love, Peggy Ashcroft,Tony Britton, Maurice Denham, Vivian Pickles, Frank Windsor, Thomas Baptiste, Richard Pearson, June Brown, Hannah Norbert, Harold Goldblatt, Marie Burke, Daniel Day-Lewis Titolo originale Sunday, Bloody Sunday. Drammatico, durata 110′ min. – Gran Bretagna 1971.

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Peter Finch: Dr. Daniel Hirsh
Glenda Jackson: Alex Greville
Murray Head: Bob Elkin
Peggy Ashcroft: Mrs. Greville
Tony Britton: George Harding
Maurice Denham: Mr. Greville

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Regia John Schlesinger
Soggetto Penelope Gilliatt
Sceneggiatura Penelope Gilliatt
Fotografia Billy Williams
Montaggio Richard Marden
Musiche Ron Geesin
Scenografia Luciana Arrighi, Norman Dorme

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L’opinione del sito http://www.cinematesionline.it

(…) Tre cavie, un tempo, un luogo: ovvero un esperimento. Si assiste ad una rappresentazione sotto il vetrino lucido di un microscopio, o tra le pareti di un terrario. C’è un po’ del neorealismo, del cinema di Cassavetes, un po’ del Free Cinema al quale Schlesinger ha sempre negato di appartenere, e molto di vero. Perché il regista coglie, all’interno di una realtà sociale, una realtà mentale, un clima. La critica ha parlato di tre sguardi, tre punti di vista (si veda il bel saggio di Salizzato).
In realtà, forse, sarebbe più giusto parlare di un solo essere a tre occhi, tanto le focali si compenetrano, e comunque tutte concorrono a delineare il generale e lento trascorrere del tutto. Daniel è il più anziano dei tre. L’età, il ruolo sociale (è medico, e proprio da una visita medica la vicenda prende inizio), lo fanno equilibrato e quasi stoico, nella sopportazione, mitemente rassegnata, di un non-destino, che è solo il lasciarsi trascorrere, e attraversare, dal tempo. Si prenda la sua omosessualità: è vissuta con rigore, ma senza eccessi, e nel rispetto. Il ritorno di fantasmi – si veda la scena in cui incontra un suo ex amante – lo trova preparato. Ma quanta tristezza si cela dietro la sua scorza di forza. Alex è il perno sul quale ruota il dubbio esistenziale. Ha forse scelto, o forse si è fatta scegliere, e condizionare dalla vita, ma è già alla seconda possibilità: dopo un divorzio, dopo le dimissioni dal proprio lavoro, che rassegna nel primo rullo del film, vive conscia solo del suo essere ad limine. Questo spiega il suo rapporto con Bob, e la storia di sesso, con un barlume illusorio di affetto, con un suo cliente. Un confine che separa l’ansia e la rabbia con uno strato di sola carta velina. (…)

L’opinione di Steno 79 dal sito http://www.filmtv.it

Raffinato film intimista diretto dal regista John Schlesinger dopo il grande successo commerciale e gli Oscar vinti con “Un uomo da marciapiede”. Si tratta di un insolito triangolo sentimentale mantenuto da un giovane artista insoddisfatto con due relazioni in parallelo, una con una divorziata quarantenne incapace di accontentarsi della precarietà del loro rapporto, l’altra con un maturo medico ebreo, ormai rassegnato a perderlo. E’ un film più incentrato sui personaggi e lo studio delle loro relazioni che non su una trama particolarmente sviluppata: Schlesinger gioca spesso sul non-detto, sulle emozioni trattenute, su sguardi carichi di significati nascosti, dove il ruolo degli attori risulta di estrema importanza. A questo proposito, sia Glenda Jackson che Peter Finch offrono interpretazioni di grande ricchezza nel disegno psicologico dei personaggi, misurate e molto credibili, mentre il giovane Murray Head, che mi risulta fosse soprattutto un cantante, non regge il confronto coi due mostri sacri della scena inglese ed appare, nel complesso, piuttosto limitato come attore. A livello di regia, il montaggio ellittico e alcuni flashback quasi subliminali li ho trovati generalmente interessanti; solo a tratti risultano leggermente superflui, come nel flashback innescato dal mancato incidente della bambina, in cui la Jackson si ricorda del pericolo delle bombe sperimentato durante la sua infanzia, e che ho trovato un pò didascalico. Tuttavia, in generale la mano di Schlesinger è molto felice, sa dare il giusto ritmo interno alle sequenze, sa conferire un adeguato risalto figurativo a molte situazioni, ad esempio nella lunga scena del rito ebraico del Bar Mitzvah. La veterana caratterista del cinema inglese Peggy Ashcroft appare come madre della Jackson in una sola scena, con un discorso all’insegna della necessità di un certo compromesso in campo sentimentale che mi ha abbastanza colpito (dice alla figlia amareggiata: “Tesoro, tu ti affretti sempre a rinunciare perchè non riesci ad ottenere tutto… ma il “tutto” non esiste… bisogna accontentarsi!) Curiosa l’idea di accompagnare molte scene a livello sonoro con un brano del “Così fan tutte” di Mozart, ripetuto molte volte, che si rivela singolarmente in accordo con le atmosfere della storia. Un ringraziamento all’amico Maso che mi ha ricordato il valore di questa pellicola con un suo intervento in una mia play: l’ho rivisto con piacere.

L’opinione di amterme63 dal sito http://www.filmscoop.it

Una parte del film è comprensibile solo se rapportata all’anno di uscita (1971), un’altra invece appartiene ai sentimenti universali di ogni esistenza umana. Le due cose si amalgano benissimo e formano un piccolo gioiello visivo che ancora a 40 di distanza incanta e lascia il segno.
La parte che appartiene all’epoca di uscita è quella che ritrae in maniera quasi distaccata e oggettiva (senza prendere diretta posizione) un mondo completamente cambiato e radicalmente differente dal passato. A questo tema appartiene il ritratto di una famiglia aperta e anticonvenzionale, dove non esiste disciplina, ordine o misura e dove tutti fanno quello che gli pare, con i bambini che crescono “liberi” e che addirittura “fumano” e svolgono ruoli da grandi. C’è certamente una certa dose di ironia e quasi di satira in questa visione un po’ paradossale, uno sguardo un po’ scettico e distaccato, non certo “approvante”.
Del resto anche l’immagine della famiglia “tradizionale” non fa bella figura. I genitori di Glenda Jackson hanno ormai solo l’apparenza della solidità e rettitudine di principi che individuava l’istituto della famiglia borghese fino agli anni 60. Svelano adesso la verità di una vita arida e senza amore, anche se l’abitudine ancora li tiene insieme e forse è diventata una specie di necessità irrinunciabile. La famiglia ebraica del dottore è invece legata da cerimonie e convenzioni, certamente vuote e inutili ma che rimangono come ossatura e punto di riferimento (i ricordi e la nostalgia dell’infanzia).
Tutto è visto come bianco e nero allo stesso tempo. Le istituzioni tradizionali falsificavano e imprigionavano ma almeno riempivano, esistevano e impedivano di esaminare a fondo la verità dietro l’apparenza: l’immanenza della solitudine.
Ed è quello che devono affrontare quelli che hanno scelto la “nuova” via della libertà completa dell’individuo. Si vuole essere quello che si è, seguire il proprio mutevole istinto? Ok, ma allora bisogna cedere a compromessi, rinunciare a possedere una persona e a disporne come uno vuole. Bisogna accontentarsi e non disperarsi se in agguato c’è la solitudine e il vuoto. La realtà è questa e se si è deciso di prenderla per quello che è va affrontata con dignità e coraggio, anche se è difficile, tanto difficile rimanere soli.
Schlesinger ci offre uno splendido e elegante ritratto di vita borghese e una disamina interiore molto sincera e profonda sull’amore, che ancora tocca profondamente l’animo di chi guarda.
Ciò che all’epoca fece scandalo (la confidenza amorosa fra due uomini) oggi appare in tutta la sua naturalezza e “normalità” e questo è il grande merito del film, quello di saper ritrarre l’epoca del film con l’occhio di chi vede l’essenza e non la superficie esterna.
E’ questa la parte più viva del film, quella che fa dimenticare la mancanza di trucchi filmici come suspence, azione, tensione, ecc… La “pazienza” viene decisamente ripagata.

L’opinione di stefania dal sito http://www.davinotti.com

Non è la bisessualità il tema di questo film: qui si parla soprattutto di fragilità mascherate da anticonformismo, di persone così affamate d’amore da accontentarsi delle briciole, persone che vogliono credersi indipendenti, e sono soltanto smarrite. Ma forse possono ancora cambiare qualcosa, magari approfittando di una delle loro tante maledette domeniche… Una Londra crepuscolare, non più swinging da un pezzo, che ripete stancamente i suoi rituali a base di “pot parties”, che vive senza più gioia i suoi liberi, ma difficili, amori. Da recuperare.

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Therese and Isabelle

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Sul filo della memoria, una storia d’amore tra due donne, il rimpianto, la fine irrimediabile di un periodo della vita e in qualche modo la constatazione che la giovinezza è ormai perduta.
Sono alcuni dei temi toccati da Therese and Isabelle, film diretto nel 1968 da Radley Metzger che racconta in un vivido bianco e nero una storia d’amore tra due donne, Therese e Isabelle unite per un breve periodo dal sentimento più forte e divise poi dal destino.
Parlavo di filo dei ricordi, perchè il film si apre proprio con una passeggiata in un parco di Therese, che vent’anni dopo aver visto per l’ultima volta il college in cui ha passato la sua giovinezza rivive in flashback i suoi diciassette anni, l’arrivo nel college stesso dove è stata portata da sua madre, alle prese con un nuovo matrimonio.
Qui, dopo un difficile periodo di ambientamento, la vita di Therese aveva intrapreso i binari della solitudine e della malinconia fino al giorno in cui aveva conosciuto la bellissima Isabelle, una ragazza piena di vita, solare e ribelle al tempo stesso.

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Le due ragazze avevano da subito stretto amicizia, attratte l’una dall’altra non solo dalla simpatia; ben presto infatti il loro rapporto era sfociato nella fisicità,con tanto di innamoramento.Ma nonostante i giuramenti sull’amore terno che le due ragazze si faranno, le loro strade alla fine si divideranno per sempre.
Therese and Isabelle è un film particolarmente curato; Metzger, che nel futuro si dedicherà a prodotti caratterizzati da un uso massiccio dell’erotismo che spesso sconfinerà nella pornografia bada moltissimo ai particolari, creando un’atmosfera malinconica che ben si addice alla storia che narra.
In effetti il film, pur trattando un argomento scottante come i rapporti saffici tra le due giovani protagoniste della storia, non eccede in morbosità lasciando tutto su un piano meramente epidermico, evitando cioè di sconfinare nel solito erotismo buttato giù alla ben e meglio.
Probabilmente in ciò influisce l’annata di produzione della pellicola; siamo infatti nel 1968 e le forbici censorie di mezzo mondo sono pronte a colpire i film con contenuti scabrosi, con ovvi rischi di snaturare completamente il senso dei film proposti.

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Qui Metzger invece privilegia l’ambientazione e il dialogo, aiutato anche dalla potenza del bianco e nero che ben si presta alla storia narrata; pur tuttavia commette un grave errore che inficia parzialmente il tutto.
Sceglie infatti come protagoniste due attrici che non hanno l’età giusta per interpretare le due adolescenti Therese e Isabelle;Essy Persson (Therese) ha infatti al momento delle riprese 27 anni mentre Anna Gael (Isabelle) ne ha 25.
Troppi per due ragazze che nel film hanno 17 anni e che vengono invece portate sullo schermo da due attrici brave si, ma anagraficamente troppo distanti dai loro personaggi con il rischio, poi concretizzatosi, di rendere poco credibili i personaggi.
Inficiato da questo non trascurabile particolare, il film per fortuna conta su una fotografia assolutamente perfetta, su una sceneggiatura ben scritta e su momenti di interesse, come quelli che illustrano il tormentato rapporto tra Therese e sua madre, che approfondisce quindi il personaggio principale del film.Più sfumata la personalità di Isabelle, che appare come una ragazza ribelle e forse più immatura dell’amica, come dimosterà nell’episodio cruciale del film, la squallida avventura nella camera d’albergo.

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Metzger l’anno successivo dirigerà Camille 2000 e in successione Esotika Erotika Psicotika, due film che hanno un’accurata confezione e contano ancora su un erotismo patinato e non volgare.Solo 7 anni dopo aver diretto questo film, approderà al porno, con quel The image che comunque avrà il merito di essere ben costruito e sicuramente molto meglio confezionato di tanti tristi film in copia carbone con inserti real core.
Tornando al film, vanno comunque elogiate le due protagoniste citate, la Persson e Anna Gael che riescono ad esprimere al meglio il disagio adolescenziale delle due protagoniste alle prese con una storia d’amore che purtroppo non avrà un futuro.
Purtroppo il film è estremamente raro nella sua versione italiana, anche perchè arrivò sui nostri schermi qualche anno dopo la sua uscita cinematografica;chi ha qualche dimestichezza con l’inglese può vederlo seguendo questo link: https://archive.org/details/ThereseAndIsabelle

Therese and Isabelle
Un film di Radley Metzger,con Essy Persson,Anna Gael, Barbara Laage,Anne Vernon,Simone Paris,Rémy Longa,Maurice Teynac Drammatico, 1968 Francia/Gb/Olanda durata 118 minuti

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Essy Persson … Thérèse
Anna Gaël … Isabelle
Barbara Laage … Thérèse adulta
Anne Vernon … Le Blanc
Simone Paris … La direttrice
Maurice Teynac … Mons. Martin
Rémy Longa … Pierre
Nathalie Nort … Renee
Darcy Pulliam … Agnès
Suzanne Marchellier … Germain
Bernadette Stern … Françoise

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Regia:Radley Metzger
Romanzo:Violette Leduc
Sceneggiatura:Jesse Vogel
Musiche:Georges Auric
Fotografia:Hans Jura
Montaggio:Humphrey Wood
Costumi:Roxane Vaisborg

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L’opinione di Undjing dal sito http://www.davinotti.com

Una donna, in età avanzata, torna a visitare la scuola che ha frequentato in gioventù. Mentre passeggia all’interno dei corridoi deserti ricorda, con lucida memoria, eventi legati all’adolescenza con particolari piccanti sul rapporto saffico che ha vissuto, inatteso, con una compagna di classe. Delicato erotico, nello stile di Metzger, che gira un film dall’atmosfera rarefatta e quasi onirica, ambientato all’interno dell’abbazia di Royaumont (40 miglia a nord di Parigi). Stilizzato, quasi romantico con tendenza al melodramma.

L’opinione di kotrab dal sito http://www.filmtv.it

Radley Metzger gira un film abbastanza ambizioso e legato ai suoi tempi: la storia d’amore tra le due ragazze deve restare naturalmente segregata all’interno del college femminile in cui è ambientata, e qualche scena di nudo avrà forse avuto noie all’epoca, ma oggi è del tutto naturale.
Il film tutto sommato non è male, gode di un approccio delicato, malinconico e tenero al tema, nella sua essenzialità formale non è esente da qualche raffinatezza che però alle lunghe ingabbia un pò la struttura (i flashback montati con un certo gusto nel girovagare della protagonista, tornata dopo anni a vedere il collegio, come la buona fotografia e le essenziali scenografie). Peccato per la voce fuori campo che interviente a volte nei momenti meno opportuni, e per le protagoniste un pò impacciate

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Bersaglio di notte

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Sono passati cinque anni dal grandissimo successo ottenuto nel 1970 con Piccolo grande uomo; Arthur Penn è ormai, per l’industria di Hollywood, una sicurezza.
Film come La caccia (1966), Gangster story (1967) e Alice’s Restaurant (1969) lo hanno lanciato come regista affidabile, capace e sopratutto eclettico.
Bersaglio di notte (Night move), uscito nelle sale nel 1975, è un altro passo determinante nella carriera del regista di Philadelphia;è la volta del thriller poliziesco, quasi un vero e proprio noir, teso e cupo, girato con lo stile nervoso e duro tipico di Penn.
Il protagonista della vicenda è Harry Moseby,un passato da giocatore di football ora investigatore privato dalla vita problematica, che ormai si occupa principalmente di storie legate a divorzi.
Contattato da una ex stella del cinema, Harry accetta l’incarico di ritrovare la sedicenne Danny, scomparsa da casa ormai da quasi un mese; le sue indagini lo portano a scoprire che Danny non è affatto scomparsa ma vive con il patrigno in Florida.

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La ragazza è andata via da casa perchè odia sua madre; durante una escursione in mare e l’esplorazione di un relitto aereo, la ragazza scopre all’interno dello stesso il corpo senza vita di Marv Ellman,suo amico.
Sembra una disgrazia, ma così non è.
Poco tempo dopo anche Danny muore improvvisamente e Harry inizia a pensare che le due morti siano in qualche modo collegate e che quindi non si tratti di disgrazie.
Le indagini del detective portano a galla un traffico di opere d’arte, e Harry dovrà non solo districarsi tra i delitti che verranno compiuti ma sarà alle prese anche con la sua vita privata e con il tradimento della moglie.
Finale amaro.
Buon ritmo, colpi di scena e un andamento serrato: sono questi gli elementi che caratterizzano Bersaglio di notte, retto magnificamente anche dalla maschera cinica e malinconica di Gene Hackman che da vigore e umanità al personaggio di Harry Moseby,uomo in crisi non solo professionale ma anche privata.

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Penn disegna un personaggio che non è quello tradizionale dell’investigatore bravo e tutto d’un pezzo che generalmente risolveva i crimini che gli venivano affidati, retaggi di un passato cinematografico in cui il buono fa giustizia dei cattivi, bensì un uomo che si trova coinvolto in una storia che appare fuori dalla sua portata, anche perchè distratto dai problemi personali, con una moglie adultera e un lavoro che è ormai solo un ripiego.
E’ proprio questa la caratteristica peculiare del film, che gioca le sue carte sul tormento esistenziale del detective imerso in una storia che alla fine lo dovrebbe veder coinvolto solo per lavoro e che invece diventa una questione personale e che avrà un finale una volta tanto senza happy end, nero e disperato.
La figura del detective finisce per assomigliare e si fonde con le vicende della società, con il tramonto dell’american way of life, del sogno americano:Harry diventa il paradigma dell’americano che si riscopre solo, alle prese con una società che ha lasciato dietro le spalle il suo glorioso passato e ora si trova alle prese con problemi enormi, mentre Harry deve affrontare i suoi fantasmi personali proprio mentre è alle prese con un caso difficile, in cui niente è come sembra e in cui a fare da contrappeso c’è anche una situazione personale privata precaria, con i punti fermi della sua vita diventati all’improvviso instabili.

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Penn descrive tutto ciò con abilità, consegnandoci un noir di rara efficacia proprio nella descrizione di personaggi e situazioni, cose che spesso nei thriller del periodo erano sacrificate a tutto vantaggio dell’azione.
Profondità, quindi, analisi dei personaggi con sullo sfondo un America inquieta e in trasformazione.
Per quanto riguarda il cast, tutti da elogiare, a partire dalla giovane ed affascinante Melanie Griffith, acerba ma sicuramente in grado di esprimere doti recitative di rilievo.
Bella la fotografia crepuscolare per un film da elogiare in blocco.
Film purtroppo molto raro e che è praticamente impossibile da trovare in rete nella versione italiana

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Un film di Arthur Penn. Con Edward Binns, Susan Clark, Gene Hackman, Jennifer Warren, Harris Yulin, James Woods,Melanie Griffith Titolo originale Night Moves. Giallo, durata 99′ min. – USA 1975.

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Gene Hackman: Harry Moseby
Susan Clark: Ellen Moseby
Jennifer Warren: Paula
Edward Binns: Joey Ziegler
Melanie Griffith: Delly Grastner
John Crawford: Tom Iverson
Harris Yulin: Marty Heller
Kenneth Mars: Nick
Janet Ward: Arlene Iverson
James Woods: Quentin
Anthony Costello: Marv Ellman
Dennis Dugan: ragazzo

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Regia Arthur Penn
Sceneggiatura Alan Sharp
Produttore Gene Lasko, Robert M. Sherman
Distribuzione (Italia) Warner Bros.
Musiche Michael Small
Fotografia Bruce Surtees

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L’opinione del sito http://www.mediacritica.it

(…) Nella carriera di Arthur Penn, Bersaglio di notte si inserisce tra i due grandi western con cui il regista americano ha contributo al rinnovamento e alla rilettura del genere [stiamo parlando di Piccolo grande uomo (1970) e Missouri (1976)]: pur non memorabile come i due film citati, ma comunque stabile su livelli decisamente più che buoni, Bersaglio di notte contribuisce allo stesso modo al rinnovamento e alla rilettura più critica e malinconica, e meno mitica, del genere noir e della figura archetipa del detective privato.
In questo modo, può essere considerato parte di un’ideale trilogia, insieme ai capolavori Il lungo addio di Robert Altman e Chinatown di Roman Polanski, girati nel biennio precedente. In queste tre opere, sotto certi punti di vista diverse ma tutte mediacritica_bersaglio_di_notte1ademitizzanti e malinconiche, la figura dell’investigatore privato è da un lato moralmente e fisicamente più sfaccettata e non più “tutta d’un pezzo”, e dall’altro diventa incapace di comprendere i casi e le vicende in cui è coinvolto, diventando pedina inconsapevole di processi sfuggenti e più grandi di lei, capendo troppo tardi, quando non ha più modo di intervenire, le dinamiche di cui è vittima stessa. (…)

L’opinione di edmond90 dal sito http://www.filmscoop.it

Uno dei film chiave della cinematografia americana anni’70.
Dopo Il lungo addio(73′)e Chinatown(74′),prosegue in un certo senso la rivisitazione del poliziesco da parte dei registi della New Hollywood,in questo caso proprio ad opera di Arthur Penn,che di questo strsaordinario movimento era stato l’ideale capofila con Gangster Story(’67).
E’la storia di Harry Moseby,ex giocatore di football e ora detective profondamente insoddisfatto,e della sua ricerca di identita’,simbolo di un america ancora profondamente scioccata dal Watergate e minata dal profondo nel substrato sociale.
E chi altri se non Gene Hackman,il perdente per antonomasia degli anni’70 e protagonista l’anno prima di un altro straordinario affresco di paranoia americana(La Conversazione)poteva interpretarlo,con la sua gigantesca personalita’?
Ma,seppur straordinario,il film non si regge tutto su Hackman,ma si avvale di un cast molto pertinente,ricordiamo la giovanissima e gia bellissima Melanie Griffith e James Woods,della splendida fotografia di Bruce Surtees e ovviamente dell’ineguagliabile stile di Arthur Penn,che sfrutta un banale intreccio poliziesco(all’apparenza)per la sua personalissima visione di un mondo in crisi e del caos che vi regna.
Magistrali le sequenze acquatiche.
L’opinione del sito http://www.effettonotteonline.com

(…) Bersaglio di notte, girato da Arthur Penn nel 1975, è un film difficile, che rispecchia le difficoltà di un momento particolare della storia americana: il dopo-Nixon. Una complessità, tuttavia, splendidamente oscurata, nascosta, quasi sommersa: ci sembra sempre di comprendere qualcosa, una qualche verità, che nell’attimo dopo però inesorabilmente ci sfugge. Non è l’intrigo a complicare le cose. Il film è complesso innanzitutto nello stile, nello sviluppo della trama, nelle conclusioni. Complesso nella radicalità con cui affronta le tematiche esistenziali, il problema della verità, il senso della perdita e della sconfitta. Bersaglio di notte non offre altro che ambiguità: nulla viene esplicitamente dichiarato, nessun problema viene enunciato, e la sconfitta stessa non è ufficializzata. Ma nella figura di Harry, il protagonista, l’investigatore privato, l’uomo moderno intravede lo spettro delle sue più inquietanti preoccupazioni, di una disperazione che non ha più nulla di tragico, ma che anzi è sempre più fusa con una torbida piattezza emotiva, con una muta indifferenza. Gene Hackman interpreta con dedizione quasi scolastica, e anche con un raro talento, la strana discesa verso la nullificazione, sentimentale e intellettuale, discesa che si fa ancora più drammatica perché sospinta da una fievole speranza, immancabilmente disillusa.(…)

 

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Arma da taglio (Prime cut)

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Mary Ann (un uomo, nonostante il nome femminile) è un commerciante di carne bovina di Kansas city, indebitato per una grossa somma con la mala di New York.
Quando l’organizzazione criminale della grande mela invia degli esattori per riscuotere il debito, Mary Ann senza nessuno scrupolo, aiutato da suo fratello Weenie , ammazza gli esattori e li invia sotto forma di salsicce a New York.
Così l’organizzazione decide di utilizzare le maniere forti e invia questa volta Nick Devlin, un duro che svolge i lavori sporchi per l’organizzazione.
Devlin arriva a Kansas city e trova i fratelli Mary Ann e Weenie impegnati nella vendita del bestiame;nel capannone in cui si svolgono le trattative, Nick trova anche delle ragazze giovanissime nude e mescolate al bestiame, vendute come animali ai cow boy e mercanti della zona.

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Devlin le libera e porta via con se Poppy, una delle ragazze; da quel momento la lotta fra l’esattore di New York e Mary Ann si trasforma in una guerra senza pietà…
Duro e violento, Arma da taglio è un gangster movie diretto da Michael Ritchie nel 1972, distribuito in America con il titolo di Prime cut, ovvero primo taglio, un riferimento al lavoro del protagonista del film, che in pratica è un macellaio e grossista di carne.
Un film con due sequenze memorabili: la prima è quella in cui Devlin incontra per la prima volta Poppy mentre giace con la sua amica completamente nuda sulla paglia all’interno di un corral, tra il bestiame e i compratori completamente indifferenti alla cosa.La seconda è quella del celebre inseguimento tra gli immacolati e floridi campi di grano, con le spighe alte che però non servono a nascondere completamente la fuga di Nick Devlin e di Polly.
Basterebbero queste due sequenze a ricordare il film, ma c’ è ben altro in questa pellicola diretta da Ritchie,che torna a dirigere Gene Hackman dopo il grande successo ottenuto dal suo primo film come regista,quel Gli spericolati del 1969 che annoverava tra gli interpreti anche Robert Redford.
Ma è tutto il girato ad avere il sapore del prodotto rifinito e di gran respiro; Ritchie utilizza spesso la macchina da presa per inquadrare i grandi paesaggi di Kansas city, con predilezione per i campi, per i fenomeni atmosferici e per le campagne americane.

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Questa ambientazione ben si sposa, con la sua placida e morbida tranquillità con l’apparente controsenso delle scene d’azione che si susseguono come esplosioni improvvise e su tutto vanno aggiunte le interpretazioni magistrali del cast, prima fra tutte quella di Lee Marvin.
L’attore newyorkese interpreta il killer Devlin dandogli un taglio di elegante e implacabile durezza; elegante perchè Nick non è un killer qualsiasi, ma ha un suo codice d’onore, veste con raffinatezza e non usa la violenza in maniera cieca e incontrollata.Marvin ha la faccia da duro, ma anche da duro buono, di quelli che sono burberi ma hanno anche un cuore,Ed infatti il personaggio interpretato da Marvin è esattamente così, disposto a rischiare la vita per salvare la sfortunata Polly.

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Che è interpretata dall’esordiente Sissy Spacek, qui nella sua prima parte da protagonista dopo l’esordio (non accreditato) nel film di Paul Morrissey Trash i rifiuti di New York.L’attrice texana interpreta perfettamente l’adorabile Polly mentre da incorniciare è la prova di Gene Hackman , mai più così carogna in un film.
Sicuramente un buon prodotto, che avrebbe però richiesto qualche minuto in più di girato per delineare meglio i personaggi; probabilmente qualche taglio effettuato dalla produzione ridusse il tempo totale della pellicola con risultati nefasti.
Il film è disponibile in un’ottima riduzione all’indirizzo http://www.cineblog01.tv/arma-da-taglio-1972/

Arma da taglio
Un film di Michael Ritchie. Con Lee Marvin, Gene Hackman, Angel Tompkins, Sissy Spacek Titolo originale Prime Cut. Drammatico, durata 86 min.Usa 1972

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Lee Marvin: Nick Devlin
Gene Hackman: Mary Ann
Sissy Spacek: Poppy
Gregory Walcott: Weenie
Angel Tompkins: Clarabelle
Janit Baldwin: Violet

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Regia Michael Ritchie
Sceneggiatura Robert Dillon
Produttore Joe Wizan
Produttore esecutivo Kenneth L. Evans
Casa di produzione Cinema Center Films
Fotografia Gene Polito
Montaggio Carl Pingitore
Effetti speciali Logan Frazee
Musiche Lalo Schifrin
Scenografia Bill Malley
Costumi Patricia Norris
Trucco Salli Bailey

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L’opinione di sasso 67 dal sito http://www.filmtv.it

Film durissimo, ai limiti della sgradevolezza, diretto dall’allora giovane e promettente Michael Ritchie (a cui si deve, sempre nel 1972, “Il candidato”, con Robert Redford). “Arma da taglio” ha una durata insolitamente breve, forse dovuta ai numerosi tagli censori (chi di taglio ferisce di taglio perisce…) che ha dovuto subire sia nel paese d’origine che in Italia. Quello del macellaio Mary Ann (chissà come mai un nome da donna…) è probabilmente uno dei personaggi più abietti mai recitati da Gene Hackman, che fa commercio di carne non soltanto animale, poiché nei recinti delle stalle tiene anche delle orfanelle nude che vende ai suoi luridi clienti. Per di più, l’abietto macellaio, si fa beffe del fratellone ritardato, che alla fine tenta di pugnalare il killer Nick brandendo una salsiccia. Film metaforico della violenza che pervade la società americana (non per caso la donna di Mary Ann, precedentemente fidanzata con Nick, si chiama Clarabelle, come la mucca di Topolino), “Arma da taglio” contiene almeno un paio di sequenze girate magistralmente, come la sparatoria tra i girasoli e l’inseguimento della mietitrebbiatrice nel campo di grano. La ventitreenne Sissy Spacek compone un personaggio di adolescente un po’ ingenua e un po’ perversa.
L’opinione di Patrick78 dal sito http://www.davinotti.com

Autorevolissimo film diretto da Michael Ritchie in stato di grazia che attinge alla grande dal miglior cinema di Don Siegel e realizza un capolavoro intriso di violenza e azione in cui svettano le prove magistrali di Marvin e Hackman. Tutto inizia quando un killer (Marvin) viene mandato in Kansas dall’Organizzazione per riscuotere del denaro che un locale imprenditore e proprietario di un mattatoio (Hackman) si rifiuta di consegnare. Molte le scene d’impatto (la trebbiatrice che insegue Marvin e Spacek!), notevole la colonna sonora di Lalo Schifrin.

L’opinione di buiomega71 dal sito http://www.davinotti.com

Piccolo cult di un regista che poi dirigerà (quasi) solamente commedie. Un indimeticabile e trucidissimo Gene Hackman, quasi “cannibalico” nella sua statura di boss, un granitico Lee Marvin e una parata di belle fanciulle (dove spicca una giovanissima Sissy Spacek), “schiave” di Hackman. Ottimi momenti di azione, un po’ di violenza e scene estrapolate dal mattatoio di Hackman. Il film è conosciuto anche come “Il boia, la vittima e l’assassino” (e con questo titolo venne editato in vhs dalla Gvr). Ripescato, solo ora, in dvd.

L’opinione di mister.steed dal sito http://www.gentedirispetto.com

E’ difficile da definire: è un gangster movie un po’ grottesco che ha il suo maggior pregio nella regia di Ritchie (ottima in diversi punti, su tutti il bellissimo inseguimento nel campo di grano) e nelle interprietazion degli attori ma che tuttavia sconta diversi difetti di sceneggiatura, con personaggi non sufficientemente approfonditi, lasciando un vago senso di incompiutezza. Inoltre il mix tra il taglio leggero dato al film e l’efferratezza di alcune scene non è troppo ben amalgamato, come invece riuscì a Tarantino ne Le Iene: il sogno sarebbe vederne un remake curato da Quentin, però col cast originale e non con attori di oggi Forse in questo caso se il film fosse durato un tantino di più il risultato finale ne avrebbe giovato. In linea di massima mi sento di condividere il giudizio dato da Kezich ai tempi dell’uscita del film, che potete leggere nel secondo link che ho postato. Primo film della all’epoca 23enne Sissy Spacek. Colonna sonora di Lalo Schifrin. Ottima la fotografia di Gene Polito.

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I turbamenti sessuali di Maddalena

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E’ il mercoledi delle ceneri.
In una chiesa di Monaco di Baviera viene fatta una scoperta terribile:fuori dalla chiesa, appeso alla porta, c’è un uomo anziano crocefisso ai battenti.
Nel frattempo in un collegio per orfanelle la giovane Magdalene avverte dei sintomi strani ed inizia a comportarsi in modo anomalo.il tutto è originato da una mosca che è volata dal cadavere dell’uomo appeso fuori dalla chiesa che in realtà altri non è che il nonno della ragazza.
Magdalene si trova nell’istituto dopo la morte dei genitori per un incidente;la sua vita non è facile, perchè la ragazza subisce gli scherni delle compagne, che la trovano troppo ingenua.
Magdalena, che fino a quel momento ha tenuto un comportamento esemplare, mostra dei segni che testimoniano la presenza in lei di poteri telecinetici.

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La ragazza cambia improvvisamente manifestando la presenza di una doppia personalità, che alla fine si fonde per diventare un’entità sfrenata sessualmente la dove Magdalene fino a quel momento aveva tenuto un comportamento esemplare.
Ne fanno le spese ovviamente le altre ragazze del college che devono assistere all’escalation di violenza e a gesti sessualmente disinibiti della ragazza, che in un caso vomita dalla bocca un serpente.
La direzione del collegio chiama i dottori Falk e Stone per accertare il male di Magdalene, ma dopo che la ragazza ha tentato di sedurre uno dei due e dopo che ogni diagnosi fallisce, al dottor Falk non resta che chiamare un sacerdote.
Sarà padre Conrad, con un espediente, a capire che la ragazza è posseduta da un’entità diabolica e …
Ennesimo clone dell’esorcista di Friedkin, I turbamenti sessuali di Maddalena (intitolato molto più realisticamente nella versione inglese Magdalena, Possessed by the Devil e Magdalena, vom Teufel besessen nella versione originale tedesca) è un exploitation a connotazione demoniaca nella scia dei numerosi film che spuntarono nelle sale all’indomani del successo planetario del film di Friedkin, fra i quali possiamo citare i nostrani L’Anticristo, Chi sei, La casa dell’esorcismo e L’ossessa.

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Diretto nel 1974 dal regista tedesco Walter Boos (che si firma Michael Walter) specializzato in b movie a sfondo erotico come Il comportamento sessuale delle studentesse,Le svedesi lo vogliono così o sesso in corsia, questa pellicola ha dalla sua un’ambientazione malata e malsana, sorprendentemente abbinata ad una sceneggiatura scorrevole che si accompagna ad una buona dose di suspence.
Certo, siamo negli angusti limiti del cinema sexploitation, perchè Boos calca la mano sull’aspetto erotico della storia, usando la giovane attrice Dagmar Hedrich in versione “mamma come l’ha fatta” ad ogni occasione buona.
Tuttavia, nonostante l’evidente limite di budget della produzione, riscontrabile nell’estrema povertà degli effetti speciali e nei nomi sconosciuti ingaggiati per il cast, il film come puro prodotto di intrattenimento funziona.
Vera sorpresa è Dagmar Hedrich, all’esordio in quella che sarà stranamente la sua prima e ultima avventura cinematografica;l’attrice è bravissima nel mostrare i due lati della personalità della posseduta, con rapidi cambiamenti di espressione e intensa partecipazione.
Inspiegabilmente dopo questo ottimo esordio l’attrice non continuò la sua carriera.
Il film è estremamente raro sulla rete, nonostante da tempo sia stato digitalizzato e distribuito in dvd, ragion per cui bisognerà attendere che qualcuno lo carichi sui p2p.

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 I turbamenti sessuali di Maddalena

Un film di Michael Walter. Con Werner Bruhns, Dagmar Hedrich, Rudolf Schundler Titolo originale Magdalena – Von Teufel besessen. Drammatico, durata 91 min. – Germania 1974

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Dagmar Hedrich … Magdalena Winter
Werner Bruhns … Prof. Falk
Michael Hinz … Dr. Stone
Peter Martin Urtel … Il Satanista / Nonno di Magdalena
Rudolf Schündler … Padre Conrad
Karl Walter Diess … Commissario
Günter Clemens … Ispettore
Elisabeth Volkmann … Madame Stolz
Eva Kinsky … Hilde Preis
Petra Peters … Infermiera
Ursula Reit …Il testimone accidentale

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Regia:Walter Boos
Sceneggiatura: August Rieger
Fotografia:Ernst W. Kalinke
Montaggio:Karl Aulitzky

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L’opinione di Trivex dal sito http://www.davinotti.com

La dimensione della possessione diabolica, esplicitata prevalentemente dal comportamento morboso e diabolicamente seducente dell’ossessa. Evidentemente realizzato con pochissimi mezzi, segue un percorso un po’ confuso e necessariamente avaro, finendo al risparmio anche nella parte che dovrebbe risultare fondamentale (l’esorcismo e la possibile liberazione dal serpente). Comunque, risulta pervaso da una oscura ed a tratti inquietante atmosfera, malauguratamente svilita da evitabili effetti speciali di serie Z (gli oggetti che volano e svaniscono).

L’opinione di Gestarsh99 dal sito http://www.davinotti.com

Oscura e dimenticatissima variante teutonica de L’esorcista, opera di uno tra i più proliferi maniscalchi del crauti-(soft)porn settantiano. Gli sviluppi risaputi si elettrizzano bruscamente in fulminanti scosse di violenza e shock, in una pellicola segnata da atipica tensione, follia deviata e da una spinta erotica virata all’eccesso. Il visino d’angelo della Hedrich riesce a conferire naturale schizofrenia al personaggio dell’ossessa, passando in brevi istanti dalla più luminosa e ridente serenità ad uno stato di convulse e bestiali escandescenze pazzoidi. Ruvido e squassante.

L’opinione di Jurgen77 dal sito http://www.davinotti.com

Al pari del suo collega più blasonato ovvero L’esorcista, questa oscura pellicola teutonica rappresenta in modo violento e inquietante il tema della possessione diabolica. Logicamente, a causa del budget ridicolo, non c’è da aspettarsi gli effetti del film di Friedkin. Tuttavia la pellicola è realmente cupa e spaventosa.

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Sedicianni

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Francesca è una sedicenne che, come le ragazze della sua età, smania dalla voglia di diventare grande.
E’ figlia di Giorgio, uno scrittore di una certa fama e di Mara; ma i due ormai sono profondamente distanti l’uno dall’altra e Mara si è rifatta una vita sentimentale accanto a Sergio.
Quando la donna va a vivere a casa di quest’ultimo, Francesca accoglie la novità malvolentieri.
Inoltre la ragazza si rivela gelosa delle attenzioni che Sergio rivolge alla madre e si mostra sempre più incline a bruciare le tappe, spinta sopratutto dall’esempio delle amiche che alla sua età hanno già un ragazzo e dei rapporti sessuali.
Inevitabilmente la ragazza sceglie, come prima esperienza, quella proibita con Sergio; con malizia e con lentezza stende la sua tela attorno all’uomo, che alla fine cede.

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Per Mara sarà una scoperta dolorosissima…
Modestissima commedia a sfondo sexy travestita da dramma medio borghese e adolescenziale questo Sedicianni, film diretto da Tiziano Longo nel 1973.
Su un plot estremamente semplice che avrebbe permesse un’indagine ben più approfondita sulle tematiche adolescenziali, sui turbamenti dell’età e sulle problematiche relative alle prime esperienze di vita di un sedicenne, Longo costruisce una pellicola che sceglie la via più facile, ma anche meno approfondita per illustrare i pruriti di una ragazzina che soffia l’amante alla mamma un po per gelosia e un po per affermare la sua sessualità finalmente espressa.
Tutto il film è costruito attorno al personaggio di Francesca, che sembra essere rappresentato con il triste clichè, tante volte ripetuto, della ragazza senza scrupoli che afferma in ogni modo la sua sessualità, questa volta a scapito della madre, che a sua volta resta un personaggio inespresso così come inespressi restano i personaggi di contorno della pellicola.

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Ad essere rappresentata è sopratutto la voglia, quasi animalesca della ragazza che, irretita dai discorsi di un’amica, ormai non sogna altro che di diventare adulta anzi tempo.
Ma lo fa non emancipandosi dal punto di vista intellettuale, bensi meramente fisico:è la sessualità il mezzo con cui Francesca cerca un inserimento nel mondo dei grandi, mostrando però un chiaro e forte contrasto con i mezzucci ai quali ricorre per sedurre l’amante di sua madre, meschino obiettivo di una lotta tutta in famiglia per accalappiarsi le grazie del maschio dominane.
La pellicola scorre quindi fra le pieghe più epidermiche della storia, mostrando appena possibile sia la relazione sessuale tra Mara e Sergio sia quella successiva fra Francesca e Sergio stesso, con buona pace sia della profondità della storia e a tutto scapito di un’indagine sul mondo in cui vivono i personaggi.
Appare chiaro così da subito che a Longo interessa l’aspetto morboso della storia e lo si capisce benissimo quando francesca mette in mostra tutte le armi di seduzione di cui dispone per raggiungere il suo scopo, ovvero sottrarre alla madre le grazie dell’amante.

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Per buona parte della pellicola così assistiamo ai tentativi della ragazza di coinvolgere Sergio nei suoi piani, con tanto di esposizione di mutandine e coscette, seni adolescenziali e allusioni sia a parole che puramente fisiche.
Alla fine, quando il micro dramma familiare è consumato, si assiste alla scena madre, quella in cui Mara becca la figlia a letto con l’amante.
In alcune pellicole scoppia la tragedia, con tanto di vendetta ma in questo Sedicianni si va verso lo scioglimento del dramma in maniera canonica, ovvero con Mara che piange nello scoprire di avere una rivale sotto lo stesso tetto, una rivale con la quale non può competere.
Il dramma è compiuto, il film finisce e allo spettatore resta solo un pugno di mosche, ovvero l’aver visto una pellicola insulsa e anche poco soddisfacente dal punto di vista erotico. L’unica fortuna di Longo è l’aver utilizzato per il film due ottime protagoniste femminili, ovvero Ely Galleani (che interpreta Francesca) e Eva Czemerys (che interpreta Mara), che in qualche modo sopperiscono alla banalità del soggetto grazie alla credibilità delle loro interpretazioni.
La Galleani ha evidentemente il phisique du role, visto il suo corpo efebico, il suo sguardo e il suo volto da adolescente mentre la Czemerys è una sicurezza, capace com’è l’attrice di dare dignità a qualsiasi ruolo venga chiamata.Poco più che decente la prestazione di Giorgio Ardisson che interpreta il papa di Francesca mentre in grosso, grossissimo imbarazzo è Anthony Steffen, sopratutto nelle scene d’amore con Eva Czemerys.
Tiziano Longo è al suo primo, vero lungometraggio e mostra evidenti limiti che saranno parzialmente corretti con i sei film che dirigerà successivamente, tra i quali i perlomeno discreti Lo stallone e La profanazione e il buon risultato ottenuto con Mala amore e morte.

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Il resto del film mostra evidenti limiti di budget, che costringono il regista a sacrificare location e tutto il resto, con dilungamenti inopportuni dei dialoghi e eccessivo protrarsi di alcune scene.
Film senza grosse ambizioni e quindi film dal risultato povero e decisamente sciatto.
Il film è praticamente scomparso dalla circolazione e non è editato in digitale.
Ne esiste tuttavia una copia di pessima qualità, ricavata da una VHS polverosa e piena di graffi a questo indirizzo: http://wipfiles.net/saiae0375c1i.html
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Un film di Tiziano Longo. Con Anthony Steffen, Eva Czemerys, Ely Galleani, Giorgio Ardisson, Carla Mancini Drammatico, durata 93 min. – Italia 1974.

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George Ardisson … Giorgio
Eva Czemerys … Mara
Anthony Steffen … Sergio
Ely Galleani … Francesca
Danika La Loggia … Sandra
Carla Giarè … Patrizia

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Regia:Tiziano Longo
Sceneggiatura:Piero Amati,Tiziano Longo,Bruno Torregiani
Produzione:Lucio Giuliani
Musiche:Stefano Liberati ,Elio Maestosi
Fotografia:Roberto Girometti
Montaggio:Mario Gargiulo
Allestimento set:L. Galli
Costumi:Gisella Longo

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L’opinione del sito http://www.filmtv.it

Francesca, sedici anni, ha preso male il divorzio dei genitori e soprattutto il nuovo compagno della madre, Sergio. Nella nuova situazione poi Francesca ha una gran voglia di fare la sua prima esperienza sessuale. Il partner più disponibile per l’operazione sarà proprio Sergio. Pessimo. Solita commedia sexy travestita da dramma psicologico. Gli attori sono inetti.

L’opinione di B.Legnani dal sito http://www.davinotti. com

Mediocre polpettina erotico-sentimentale, con una quasi diciassettenne tutto pepe, gelosa del nuovo compagno della madre. Finirà come ovvio. Filmetto senza pretese, con dialoghi mediocri, con pochi mezzi, con location raccogliticce e con tante soluzioni di comodo. Recitazioni così così. Il migliore è Steffen. Non male la Czemerys, impegnata in un ruolo prevalentemente drammatico.

L’opinione di Undying dal sito http://www.davinotti. com

Francesca (una incantevole Ely Galleani) è un’adolescente maliziosa e perversa, che non esita a fare torto alla piacente madre (Eva Czemerys), seducendo nientemeno che il suo amante (Anthony Steffen). Riuscirà nel suo intento, ma a caro prezzo. La famiglia (poco) cristiana dell’epoca è qua rappresentata anticipando noti cliché, purtroppo mal orchestrati da una regia distratta, una sceneggiatura poco curata (soprattutto nei dialoghi) e scenografie molto modeste. Certo: il cast fa il suo effetto, ben reso dall’avere piazzato accanto l’allora ventenne Galleani alla più matura Czemerys…

L’opinione di Homesick dal sito http://www.davinotti. com

Nel mare magnum del lolitismo italiano si perde questo dozzinale e sbrigativo prodotto, povero nei mezzi e incapace di slanci drammatici. L’obiettivo ronza attorno alla Galleani, sbirciandola sotto la gonna e inquadrandone i pallidi seni o le terga velate da mutandine sempre sul punto di scivolare giù e la Czemerys viene definita ad un certo punto una “gatta in calore”, alludendo ad un suo film di due anni prima. Steffen non si stacca dall’espressione rigida e intontita dei suoi western; in sordina Ardisson.

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Sensoria

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Sensoria locandina 3

Secondo film dell’attore, musicista, sceneggiatore e regista viennese Peter Patzak, diviso in tre episodi riguardanti l’inquietante mondo della parapsicologia uscito nelle sale nel 1975
Episodio 1:
- La reincarnazione
E’ il giorno del trentacinquesimo compleanno per Henry.
Sua moglie e sua figlia lo stanno attendendo per festeggiare il suo compleanno, ma Henry ha un altro programma, anche se coscientemente non lo sa.Guardando una vecchia foto è attratto infatti irresistibilmente da un castello, che decide di raggiungere.

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Qui incontra Greta, una donna bellissima e affascinante con la quale ha una notte d’amore; la misteriosa donna gli confessa che molti anni addietro ha ucciso un uomo. Confuso, Henry chiede aiuto ad un amico poliziotto e grazie a delle vecchie foto scopre che esattamente trentacinque anni prima l’uomo che Greta ha detto di aver ucciso era scomparso esattamente il giorno in cui Henry era venuto alla luce.Lui è l’esatta replica dell’uomo morto…

Episodio 2:
-La metempsicosi
Una relazione assolutamente proibita, quella tra il dottor William e la sua alunna Macha.
Che è però conosciuta dalla moglie del dottore, che perisce tragicamente in un incidente stradale mentre sua figlia Debbie si salva a prezzo di sconvolgimenti psicologici.

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Debbie scopre di trovarsi in contatto telepatico con Macha e la cosa avrà funeste conseguenze, perchè quando Macha verrà lasciata dal suo maturo amante, la ragazza deciderà di suicidarsi,coinvolgendo nella sua morte anche Debbie…

Episodio 3:

-La telepatia

E’ il giorno del matrimonio per Barbara.

La ragazza, figlia di un importante banchiere sta per coronare il suo sogno ma un incontro inaspettato sconvolge i suoi piani.
Uno strano e misterioso pittore, Mario, riesce con la sua mente a distrarla dall’evento, tanto che la ragazza si reca da lui.
E’ l’intervento provvidenziale della madre di Mario a liberare Barbara dal malefico influsso dell’uomo, tanto che la ragazza può ritornare alla sua vita normale.

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Ma è solo una vittoria di Pirro.
Mentre è in viaggio di nozze infatti, i poteri mentali del giovane si fanno nuovamente sentire…

Diretto da Peter Patzak, regista austriaco poco conosciuto da noi, Sensoria è un film del 1975 oscuro, minaccioso e ben diretto su un tema inconsueto come quello dei poteri parapsicologici e su sovrannaturale.
Reincarnazione, metempsicosi e telepatia sono i tre argomenti sui quali Patzak costruisce un film decisamente dark, diviso in altrettanti episodi destinati a finire tragicamente.
Tre uomini e quattro donne, legati a filo doppio da legami invisibili e che finiranno per essere coinvolti in tre storie mortali, legate ai poteri oscuri della mente, a quella parte del cervello così poco conosciuta che origina i fenomeni che vedranno protagonisti i vari personaggi della storia.
Tre episodi ben calibrati, angosciosi, tutti di buon livello anche se il secondo e il terzo hanno una marcia in più.
Sopratutto quest’ultimo, caratterizzato dalla presenza inquietante e quasi demoniaca di un personaggio, il pittore Mario, che è al tempo stesso impotente ma bramoso di possedere l’anima e la personalità di Barbara.
L’uomo diventa quindi un vampiro mentale, che soggioga fino alle estreme conseguenze la giovane sposa, in un crescendo buio e quasi horror che è la cosa più riuscita del film.

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Sensoria è quindi un film decisamente inquietante, giocato sull’inquietudine che i fenomeni non controllabili e quindi non spiegabili hanno come potere attrattivo per un nutrito numero di spettatori che sono affascinati dall’argomento.
Poichè siamo negli anni settanta, ovvero in un periodo storico in cui questi argomenti erano tra i più dibattuti, lo spettatore troverà pane in abbondanza in questo film.
Che mescola anche all’elemento giallo e horror parecchio erotismo, anche se in questo caso siamo decisamente fuori dal morboso, viste le storie in cui compaiono le scene sexy.
C’è ben poco da eccitarsi, tra cadaveri e incidenti, fra un’autopsia probabilmente vera e storie oscure come quelle che vengono narrate.
Per quanto riguarda il cast,nulla da eccepire; da Marisa Mell, bella ed elegante come sempre a William Berger, da Masha Gonska a Mathieu Carrere tutti svolgono egregiamente il loro compito
Menzione d’onore per la giovane figlia di William,Debra, una vera rivelazione.
Questo è un film praticamente introvabile, nonostante sia da tempo presente in Dvd; purtroppo non ho trovato in rete nessuna versione disponibile.E’ presente sul p2p ma senza fonti.

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Sensoria
Un film di Peter Patzak. Con William Berger, Marisa Mell, Peter Neusser, Wolfgang Gasser, Debbie Berger,Mathieu Carrere Titolo originale Parapsycho – Spektrum der Angst. Drammatico, durata 93 min. – Germania 1975.

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Sensoria banner protagonisti

Mathieu Carrere: Mario
William Berger: Dottor William
Debra Berger: Debbie
Marisa Mell:Greta
Masha Gonska:Masha

Sensoria banner cast

Regia Peter Patzak
Sceneggiatura Peter Patzak, Georg M. Reuther, Géza von Radványi
Fotografia Atze Glanert
Musica Manuel Rigoni, Richard Schönherz
Produzione TIT Filmproduktion GmbH, Viktoria Film

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L’opinione di Lucius dal sito http://www.davinotti.com

Un’opera che sembra girata da Lars Von Trier. Tre episodi collegati fra loro, uno più inquietante dell’altro: nel primo, musicato da Beethoeven e con la presenza di bambole inquietanti, il protagonista incontra una figura femminile morta anni addietro, nel secondo la protagonista che ha il potere della telepatia muore in strane circostanze, il terzo vede una donna provare un’attrazione perversa per un uomo che la spinge al suicidio. Il filo conduttore è la parapsicologia per un film caratterizzato da una regia sobria ed inquietante.

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